Nov 2007 “In piazza dopodomani io maschio non vengo. Ma…”
di Stefano Ciccone
già pubblicato su Liberazione il 22/11/2007
Parla un uomo che, con altri, si batte contro gli stereotipi patriarcali.
E non rinuncia né a questo conflitto né al dialogo con le femministe.
Il 24 novembre si svolgerà a Roma una manifestazione nazionale contro la violenza e si terranno centinaia di incontri in tutta Italia.
La violenza maschile contro le donne diviene oggetto di una mobilitazione che ne denuncia il carattere sessuato e il nesso con un modello culturale condiviso. Senza questa capacità di vederne le radici la lotta contro la violenza rischia di farsi generica e ambigua. Così la violenza maschile contro le donne rischia di essere strumentalizzata: per alimentare campagne xenofobe, per rimuovere il nodo vero che riguarda il nesso dei rapporti tra i sessi. La volontà dell’assemblea nazionale di Roma delle donne di costruire una manifestazione di sole donne credo intenda rompere questa ipocrisia con un gesto conflittuale con la cultura e il senso comune in cui nasce la violenza .
Credo sarebbe però un arretramento assecondare l’idea che la violenza sessuale, gli abusi in famiglia siano “affare di donne” questioni di cui la Politica o la società non debbano occuparsi se non come questione di ordine pubblico. Non si tratta di una questione femminile ma al contrario dell’emergere di una “questione maschile” che chiede una presa di parola maschile.
Da alcuni anni la lotta contro la violenza sessuata non è oggetto solo di iniziativa delle donne. La prima occasione di un incontro tra uomini, a Roma, circa 20 anni fa nacque proprio dall’invito delle studenti a noi loro compagni a non aggregarci in modo conformista e superficiale al corteo dell’otto marzo ma a costruire una nostra riflessione e iniziativa.
Da allora è cresciuta una pratica maschile, ancora limitata e poco visibile, che parte dal contrasto alla violenza sessuata per una riflessione sulla costruzione sociale della mascolinità e per costruire spazi di libertà anche per gli uomini da un “destino” schiacciato sugli stereotipi della virilità e sul dominio. Un anno fa con l’appello “La violenza contro le donne ci riguarda, prendiamo la parola come uomini” questo impegno ha assunto nuova visibilità ed ha coinvolto singoli e associazioni. Oggi la rete di gruppi di riflessione e iniziativa maschile rilancia questa iniziativa riaffermando che non è possibile contrastare la violenza senza aprire un conflitto con la cultura che la genera.
Un conflitto che, crediamo, vada agito anche da uomini che riconoscono nelle forme delle relazioni tra donne e uomini dominanti e nei modelli di vita assegnati ai due sessi, la fonte di una oppressione che immiserisce anche le proprie vite.
Assumere invece la corrispondenza tra un ordine, un sistema di gerarchie e poteri e l’esperienza umana dei singoli uomini, porta ad affermare che la crisi di quell’ordine rappresenti una minaccia per ogni uomo, che il cambiamento delle relazioni tra i sessi, la crescita della libertà delle donne sia fonte di sofferenza e disagio per ogni singola vita maschile. Noi riteniamo che questa trasformazione rappresenti al contrario un’opportunità.
Scegliamo di aprire su questo un confronto ed un conflitto tra uomini, che, oltre semplici e ipocrite denunce della violenza, ascolti le domande che attraversano le nostre vite e costruisca risposte diverse da quelle della reazione revanchista e della nostalgia identitaria.
Ma le forme tradizionali di conflitto tra uomini, ci appaiono inservibili e ambigue: i figli che detronizzano i padri, la competizione tra maschi, la denuncia da parte degli uomini, civili ed evoluti delle violenze di “culture” altre di cui celiamo il volto maschile.
I gruppi maschili hanno così preferito dedicarsi a percorsi di condivisione e consapevolezza, vedendo nella presa di parola e nell’azione politica pubblica il rischio dell’inautenticità, dove il parlare del mondo diventa un modo per non parlare di sé, guardando con sospetto alla stessa gratificazione del partecipare ad una manifestazione contro la violenza degli altri uomini che può rappresentare l’occasione per la rimozione pacificata della necessità di una riflessione su se stessi.
La partecipazione di uomini al corteo del 24 è però divenuta occasione di un conflitto tra donne. So che sarebbe un errore far diventare questo elemento il dato centrale che paradossalmente occulta le ragioni di questa giornata. Non potendo partecipare a questo dibattito posso solo non imporre una presenza maschile. La mia idea di politica non si riduce al partecipare a un corteo e dunque proseguirà anche dopo il 24 in dialogo con le donne. Questo dialogo deve però avvenire in reciproca autonomia e in reciproco riconoscimento. Né credo che la scelta della separatezza nel corteo del 24 possa prescindere da una riflessione sulle pratiche nei luoghi misti nei movimenti e nei partiti in cui troppo spesso si conferma la centralità degli uomini di potere e in cui difficilmente si produce una critica visibile verso forme gerarchiche di delega e di appartenenza.
La pratica che abbiamo costruito come maschileplurale e come gruppi di uomini, per quanto limitata, chiede di essere riconosciuta per la sua realtà. Affermiamo che esiste un’articolazione tra uomini non per “porci fuori” da una responsabilità collettiva e da una storia di cui siamo parte. Proprio l’attraversamento di questa storia e il rifiuto di ogni estraneità alla violenza e al potere hanno caratterizzato il nostro percorso. Chiediamo però un’interlocuzione politica non semplificata sulle rappresentanze di genere. Vogliamo marcare lo spazio e la distanza tra la storia di ogni uomo e le rappresentazioni di genere, le istituzioni e le strategie di potere maschili per rendere possibile un cambiamento e una rottura di complicità. Non ci interessa una politica che agisca un conflitto contro qualcosa di astratto ed estraneo incapace di riconoscere che da questi conflitti siamo attraversati e attraversate. Assumere la corrispondenza tra un ordine, un sistema di poteri e l’esperienza umana dei singoli uomini, porta a dire che la crisi di quell’ordine rappresenta una minaccia per ogni uomo, che il cambiamento delle relazioni tra i sessi, la crescita della libertà delle donne è fonte di sofferenza e disagio per ogni singola vita maschile. Noi riteniamo che questa trasformazione rappresenti al contrario un’opportunità.
Se il conflitto è con un Maschile a tutto tondo, i possibili posizionamenti per me uomo sono o l’ipocrita solidarietà, o la superficiale dichiarazione di estraneità o la reazione revanchista o depressa. Io sento invece che questo conflitto che le donne hanno reso visibile nella società è un conflitto che anche io posso agire, dal mio punto di vista, per la mia libertà.
Con il movimento delle donne vogliamo costruire luoghi di relazione che non si fermino alla denuncia dell’arretratezza della politica o della difesa del potere da parte maschile, ma dove la relazione e il conflitto tra donne e uomini faccia parlare le concrete vite e soggettività. Questa scelta richiede di riconoscere questa relazione come potenzialmente trasformatrice da chi la pratica.
La giornata del 24 può essere l’occasione per fare un passo avanti nella relazione politica tra donne e uomini e per produrre quel conflitto necessario che contrasti la violenza e apra nuovi spazi di libertà per tutti e tutte.
22/11/2007
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