Un resoconto del 2° incontro nazionale uomini
Villar Pellice (To) 29/09 – 1/10/2000
di Massimiliano Luppino
già pubblicato da “Il paese delle donne” n° 30-31 del novembre 2000.
Nel mettere in piedi il sito siamo tornati all’occasione che aveva fatto incontrare le persone che hanno dato vita al gruppo di Roma – nato, si può dire, di ritorno dall’incontro organizzato nell’autunno del 2000 dal Gruppo Uomini di Pinerolo.
Si possono trovare qui gli atti curati da Stefano Ciccone, Claudio Vedovati, Marco Deriu e Arcangelo Vita.
Un resoconto del 2° incontro nazionale uomini
Mi è stata chiesta una testimonianza sull’incontro svoltosi a Villar Pellice (TO), dal 29 settembre al 1° ottobre, tra una quarantina di ‘uomini in cammino’ sul tema “Identità e differenza tra tradizione e sperimentazione”. Sinceramente non saprei da dove partire, forse perché, almeno per me, si tratta in parte di una novità ancora collocata all’interno di una dimensione sperimentale e dunque difficile da precisare e definire in termini chiari e non contraddittori. Ci proverò.
Vorrei innanzitutto sottolineare la fondamentale svolta compiuta (e credo che altri abbiano condiviso con me questo ‘nuovo inizio’) nell’aderire ad una iniziativa in una certa misura ‘pubblica’: dichiarare ad altri uomini, dopo un lungo discontinuo e solitario peregrinare tra pensieri e azioni antisessisti, la propria scelta di dissidenza rispetto alla logica mortifera del patriarcato. Dichiarazione di intenti naturalmente necessaria ma non sufficiente. Poiché, e ciò è emerso nel corso dei lavori, tale posizionamento critico nei confronti di una tradizione, in qualche modo incorporata nel percorso di formazione ‘al maschile’, deve obbligatoriamente fare i conti con una sorta di inquinamento dell’immaginario che influenza le modalità di rappresentazione e di visione del corpo femminile, inficiando le potenzialità di comunicazione autentica insite nell’incontro con l’altro da sé; e se qualcuno ha giustamente fatto osservare la valenza positiva dell’avvio di un esame non ipocrita delle complicità ‘interne’ con il mondo patriarcale, altri hanno abbozzato una interessante distinzione tra ‘la voglia’, intesa come frutto di condizionamenti storico-sociali mediati dal contesto esterno, e ‘il desiderio’, visto invece come elemento vitale indissolubilmente legato alla costruzione di un orizzonte di senso.
Questa forza generatrice del desiderio ha forse trovato, su un altro piano, una immediata traduzione pratica nei piccoli gruppi che sono stati formati, ove il desiderio appunto – direi quasi l’urgenza – di raccontarsi e quindi di conoscersi, attraverso l’ascolto reciproco dei vissuti correlati alla propria storia personale, ci ha consentito di sperimentare un diverso uso del linguaggio, nell’ambito delle relazioni tra uomini, che ne cambia totalmente la prospettiva di significato: citando Asor Rosa, “non ‘re-ligare’, dunque, ma ‘com-patire’; non essere comunque sopra; ma insieme”. Le emozioni associate all’autocoscienza in embrione, esperita, mi pare, con una sorta di ‘piacere di ritrovarsi’ all’interno dei piccoli gruppi, si sono invece diluite nelle sessioni plenarie in un linguaggio a tratti elaborato e complesso che ha suscitato perplessità in alcuni partecipanti; tali distinzioni relative al campo linguistico non hanno fatto altro che rimarcare, in verità, una serie di diversità oggettive, connesse a vicende esistenziali e background culturali disomogenei, che sono state però percepite dai più come ricchezza di apporti e di esperienze e che hanno trovato, a mio avviso, il modo di confrontarsi proficuamente in un dibattito rispettoso delle differenze di ciascuno. Differenze, comunque, che potrebbero anche rimandare, come qualcuno ha fatto notare, ad una eterogeneità di intenzioni e progetti che dovrebbe essere più attentamente esaminata e discussa.
Al contrario, tra gli aspetti comuni, emersi dalla giustapposizione di percorsi di vita apparentemente così lontani, mi pare di poter evidenziare una pressoché costante conflittualità e/o separatezza rispetto al modello maschile tradizionale – o perché conosciuto nelle forme violente e fragili di un autoritarismo impotente o perché mai conosciuto in quanto connotato dagli attributi della lontananza e dell’assenza (reale o metaforica), conflittualità e separatezza sostanzialmente agite mediante distacchi, allontanamenti, partenze (pertanto, non sempre verbalmente esplicitate) e quindi in un certo senso ‘condannate’ alla necessità di rielaborare e reinventare in privato, tramite tentativi ed errori, una identità dai contorni duttili e incerti; probabilmente intrecciato con tutto questo, l’altro fattore di comunanza rintracciabile nella varietà di cammini esistenziali è la rilevanza quasi ‘maieutica’ assunta dalle relazioni, dirette e indirette, con le donne, che vengono spesso a delinearsi quali importanti catalizzatrici di consistenti processi di cambiamento e di crescita, talora all’interno di rapporti qualificabili nei termini di un vero e proprio maternage. Anche se alcuni, va detto, hanno manifestato un significativo debito di riconoscenza nei confronti di altri uomini.
Diversi interventi hanno infine posto l’accento sull’esigenza di costruire, intorno a queste tematiche, uno spazio pubblico che sappia rappresentare e contribuire ad elaborare una nuova soggettività maschile, caratterizzata da responsabilità e autonomia e capace di prender parola, rompendo una pacificata solitudine autoreferenziale, su argomenti dirimenti quali il potere e la violenza; e tutto ciò anche nell’ottica di strutturare un legame reciprocamente fecondante tra la ‘ricerca di sé’, essenzialmente basata sulla scoperta di nuove parole per raccontare un’affettività a lungo silente e perciò tendenzialmente confinata nell’ambito di gruppi ristretti, e il ‘discorso pubblico’, volto a schierarsi a livello individuale e collettivo su questioni fondanti l’ordine sociale e tradizionalmente schiacciato su un approccio analitico rischiosamente privo di radicamento emotivo.
Proprio la questione del radicamento ha portato taluni a segnalare, senza peraltro sottacere le opportunità dischiuse da una concomitante ricognizione teorica, l’improcrastinabile bisogno di mettere in gioco il proprio corpo attraverso un coinvolgimento diretto in pratiche di espressività corporea, che aiutino a prender coscienza di rigidità e tensioni, consentano di valorizzare le possibilità racchiuse nella conoscenza basata sul contatto fisco e, nel potenziare lo spettro percettivo di ognuno, permettano di fondare nella concretezza di un corpo maschile non più mortificato un punto di vista alternativo. In proposito, vorrei aggiungere, con Pierre Bourdieu, che è comunque centrale focalizzare l’attenzione sulla “complicità oggettiva” che intercorre tra le “strutture incorporate” e le “strutture delle grandi istituzioni in cui si… riproduce… tutto l’ordine sociale”, per non rischiare di perdere di vista la correlazione esistente tra tecniche individuali che potremmo genericamente definire di ‘risveglio del corpo’ ed un’azione politica che miri realmente a “contribuire alla progressiva decadenza del dominio maschile”.
In conclusione, mi sembra che il principale merito dell’incontro di Villar Pellice sia stato quello di mettere in collegamento gruppi e singoli dispersi sul territorio nazionale e di tracciare per sommi capi un corposo catalogo di argomenti cui dedicarsi nei mesi a venire. Non è poco. Del resto, come qualcuno ha detto, “noi siamo persone che, dopo aver scritto per una vita con la mano destra, hanno deciso di imparare a scrivere con la sinistra”, a mio parere mossi dalla consapevolezza che, come nota Mario Porro, essendo “il fine della vita la felicità, … per trasformare il piacere in bene durevole occorre aver cura di ciò che procura soddisfazione, il proprio desiderio deve incontrare il desiderio dell’altro”.
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