già pubblicato su zeroviolenzadonne
La contrapposizione troverà una possibile soluzione introducendo la soggettività come elemento di scelta, che tiene conto da un lato dell’incidenza dell’anatomia, dall’altro dell’incidenza del discorso sociale introducendo la soggettività come movimento di soggettivazione del sesso e assunzione di entrambi, rielaborati come scelta soggettiva che introduce di necessità una scansione temporale. Ad un primo tempo ancorato all’oggettività biologica della natura, che attraverso ciò che appare assegna ad un sesso o all’altro, succede il tempo in cui il dato anatomico viene accolto dal discorso dell’Altro, cioè dagli investimenti fantasmatici dei genitori, dalla discrepanza tra le attese e la presenza reale. Il terzo tempo è quello costituito dalla ripresa soggettiva di entrambi gli aspetti che divengono lo sfondo sul quale si insedia la scelta del soggetto.
Ora questo terzo tempo si poggiava in passato su una sorta di naturalità, le possibilità ristrette chiudevano il discorso prima che si potesse aprire, l’investimento su di sé era ridotto, la storia propria e le scelte affettive si chiudevano e annegavano in una Storia collettiva che pochi spiragli lasciava aperti, e i pochi che lasciava venivano declinati nella quotidianità e nell’intimità. L’identificazione al padre teneva, sia sul versante di uno smarcamento, sia su quello di un’adesività acefala e subita come destino naturale.
La messa in crisi di questo stato di cose è avvenuta sulla base di due grandi mutamenti: il primo è stato il maggiore accesso all’istruzione, che ha comportato l’investire su di sé nel tempo, il secondo mutamento è stato introdotto dal femminismo. L’unione dei due eventi ha portato a svelare la finzione di un ordine percepito come immutabile e naturale, il primo crollo è stato quello della finzione paterna, si è colto l’inconsistenza e la fragilità di certe posizioni simboliche, e quanta fragilità nascondessero. Il rilievo va messo sul fatto che quella che veniva a crollare era proprio la finzione, come se qualcuno gridasse che il re era nudo. Lo era da tempo, ma nessuno lo aveva detto o lo diceva. Il dirlo comportava anche un residuo di colpa in chi era stato complice della finzione, creando una sorta di impossibilità a starci dentro.
Non importa ora entrare in dettaglio su questo mutamento, quel che interessa è analizzare alcune risposte che sono state date al cambiamento.
Una prima risposta è stata quella di confinare il passato, percepito giustamente come male, fuori di sé, lontano da sé come straniero. Risposta che a livello collettivo porta a paragoni e parametrazioni con alcune frange ideologiche marginali che impazzano su internet, livide di rancori e dalle quali è gioco facile prendere le distanze. A livello individuale ha comportato invece il rinchiudersi in una sorta di afasia, in un impoverimento libidico delle relazioni, in una loro crescente desessualizzazione, ritrovando un ruolo nell’essere il fratello maggiore dei suoi figli, quello che tradotto in linguaggio comune viene definito l’essere amico dei propri figli, costretti poi a cercare un riferimento simbolico fuori dalla famiglia, inseguendo improbabili guru e maestri.
Un’altra risposta è stata data dai saperi, soprattutto da un dilagante psicologismo che ci insegna ad essere padri, genitori e altro, accompagnandoci lungo tutta l’esistenza. Si parla oggi di sostegno alla genitorialità, dove due elementi vengono eliminati e non interrogati. Il primo che c’è una reificazione di un evento singolare, l’essere genitori , che declina ed aggettiva una delle possibilità dell’essere, viene oggettivato a cosa conoscibile attraverso il sapere saltando l’esperienza. Il secondo che in questa operazione è necessaria una semplificazione che salta la singolarità dell’esperienza, che cerca di eliminare la presenza soggettiva in un sapere che la precede e la riassume in modo esaustivo. Le parole si staccano dalle cose, girano a vuoto creando specialisti presunti che poco dicono e ancor meno interrogano, saltando la storia saltano anche la loro storia, risposte assertive che piovono dall’alto dicendo cosa è bene e cosa è male, ponendosi come garanti di esiti futuri, rispondendo in realtà alla paura di rischiare, ove sostituendo al termine rischio quello di desiderio ritroviamo proprio la paura di mettersi in gioco e rischiare presente nella risposta precedente.
Come interrogare allora il nodo che il corpo e la sessualità umana portano nella relazione tra soggetti e tra generazioni? Se vogliamo evitare di ricadere nelle maglie di un sapere dove la parola non sa significare il desiderio, oppure in un silenzio dove il male non può essere detto, dove l’estraneità mette la sordina al male che ci abita?
Forse un aspetto importante del femminismo è stato proprio quello di riportare nel quotidiano, di stanare nella quotidianità la possibilità del male cercando le parole che dal quotidiano potessero abitare la polis.
In un tempo di identità vacillanti, dove altri mutamenti, penso alla precarietà del lavoro ad esempio, rendono impossibile il ricorso ad identificazioni immaginarie fondate su sicurezza e stabilità, la ripresa di tematiche accantonate o a lungo precluse potrebbe aprire alla messa in gioco di un desiderio di volerne sapere per uscire dallo stallo.
Penso al discorso della cura, affidato a lungo esclusivamente alle famiglie, con l’inevitabile ritorno a modelli di cura basati sulla riattualizzazione delle cure materne, che oggi si trova a confrontarsi con e ad attuare nuove pratiche, verso gli anziani piuttosto che verso altre situazioni invalidanti. Pratica che non può certo attuarsi per legge, che anzi ove la legge interviene mostra l’inefficacia della pratica stessa (penso ad esempio al fatto che in Cina abbiano stabilito per legge che le famiglie debbano farsi carico degli anziani, che cosa segnala sintomaticamente questo imperativo se non che nessuno se ne fa carico?), pratica che se entra nel discorso sociale lo può mutare radicalmente. Possono essere questo ed altri ambiti i luoghi di costituzione di identificazioni differenti, non più ancorate ad un passato escludente o ad un presente che oscilla tra la nostalgia e l’inesistenza, preso dalla ricerca di un ancoraggio definitivo (da qui il termine identità come sempre uguale) o l’assenza di ogni ancoraggio al reale che rende vuota la parola.
Soggetti nomadi si dice, nomadi ma non persi, dove il nomadismo mette l’accento sul muoversi, sulla dimensione del viaggio che ci allontana da territori sicuri, perché appunto la sicurezza è sine cura verso sé e verso gli altri.
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