Napoli 26 Giu 2010 – Alessio Miceli e Stefano Ciccone al Napolipride Nazionale
Feb 2013 “Maschile Plurale – Relazione conclusiva del triennio 2010-2012”
di Alessio Miceli
dattiloscritto distribuito ai partecipanti per una lettura silenziosa e personale
all’Assemblea Nazionale di Maschile Plurale Dom 17 Feb 2013 a Livorno
“C’è un altro mondo ed è in questo”
Paul Eluard
In conclusione di questo triennio, faccio qualche osservazione dal punto di vista del coordinamento dell’Associazione. E’ un punto di ascolto e di partecipazione molto interessante, per cui ci tengo a restituirvi qualcosa.
La fase precedente (triennio 2007-2009) è stata quella fondativa dell’Associazione.
In questa prima fase, la spinta creativa mi è sembrata quella di favorire il cambiamento nella maschilità e nelle relazioni con le donne, rispetto all’ordine del dominio maschile. Così ci sono alcune frasi, nel nostro statuto e nella presentazione di Maschile Plurale sul sito, che dimostrano un pensare in grande, per esempio:
- “promuovere una riflessione individuale e collettiva tra gli uomini di tutte le età e condizioni, a partire dal riconoscimento della propria parzialità e dalla valorizzazione delle differenze, nella direzione di un mutamento di civiltà nelle relazioni tra i sessi”;
- “impegnarsi pubblicamente e personalmente per l’eliminazione di ogni forma di violenza di genere, sia fisica che psicologica, sessuale o economica”;
- “facilitare una svolta nei comportamenti concreti di ciascuno, con le proprie diverse soggettività nelle relazioni interpersonali, nelle famiglie, nel mondo del lavoro, nelle scuole e nelle università, nelle comunità religiose, nei luoghi della politica e dell’informazione, nonché nelle diverse occasioni di socialità…”
Probabilmente da questo desiderio e da questo pensiero è venuta la scommessa di “un salto di scala” facilitato dall’Associazione, a partire dall’esperienza dei gruppi maschili e della rete.
Quindi promuovere una maggiore condivisione, uno scambio nella nostra rete e poi una maggiore incidenza politica sui nostri temi verso altri uomini, anche in rapporto con il movimento delle donne.
C’è stata anche una certa diffidenza verso questa forma costituita dell’Associazione (con il suo rischio di delega, di ripetere le rigide forme delle organizzazioni maschili tradizionali, eccetera), ma non ne abbiamo fatto neanche un tabù. Insomma, abbiamo scelto la forma organizzativa più leggera possibile per promuovere al meglio le nostre relazioni di condivisione e politiche, che sono il nostro motivo di esistenza associativa.
Il percorso è stato segnato anche da conflitti duri. Attraversare questi conflitti e saperli nominare, coglierne le dimensioni più profonde (personali, relazionali, o legati ai ruoli, spesso legati ai vissuti di un mancato riconoscimento, politici) è stato e continua ad essere un gran lavoro.
In ogni modo, questa prima fase creativa dell’Associazione ha aperto un percorso nel segno del cambiamento, della trasformazione maschile, contemporaneamente personale/interiore e politica nella scala delle città coinvolte e della realtà italiana. Personalmente sento di ringraziare di cuore, in modo non formale, quei compagni di viaggio che hanno messo la propria intelligenza, capacità di condivisione con altri e passione politica in questo cammino.
La fase dell’ultimo triennio (2010-2012) mi è sembrata di consolidamento dei nostri percorsi ma con una domanda aperta sulla nostra spinta alla trasformazione, sia intima che politica.
Le nostre attività si sono moltiplicate, c’è stata una maturazione in diversi campi.
Abbiamo partecipato e poi anche promosso una serie di incontri pubblici di sensibilizzazione ai nostri temi, oltre che interventi nelle scuole e nei corsi di formazione. Abbiamo prodotto documenti e animato discussioni sul nostro sito e in facebook, siamo usciti con diverse pubblicazioni, abbiamo avuto tante collaborazioni (sia con Associazioni, soprattutto di donne, che istituzionali) e una maggiore partecipazione al movimento Lgbtq.
Abbiamo anche cercato le forme che ci consentissero di fare e di scambiare meglio: i gruppi tematici su dei progetti, gli incontri esperienziali estivi e quelli politici autunnali, la ricerca di una maggiore condivisione (nei limiti dell’abitare in città diverse).
Ora in tutto questo percorso abbiamo maturato un certo “capitale simbolico”, un riconoscimento pubblico e una richiesta crescente di interlocuzione, soprattutto dai vari spezzoni del movimento delle donne e ultimamente dal mondo delle istituzioni.
Ma a fronte di questo riconoscimento e aspettativa verso Maschile Plurale, mi sembra da verificare la nostra tensione trasformativa, sia intima che politica.
Significa verificare lo stato delle relazioni nei nostri gruppi, nella rete in cui è radicata l’Associazione (alcuni sono saltati e altri ne sono nati, altri ancora hanno discusso aspramente su progetti, ruoli e vissuti di riconoscimento o disconoscimento, eccetera).
Significa anche verificare se e come si possano integrare:
- un atteggiamento nuovo per noi, di professionalità e di collaborazione a dei servizi istituzionali o alla loro formazione (è un atteggiamento tendente a riconoscere una questione e ad intervenire con le dovute competenze, per esempio sulla violenza, ma anche con un rischio di oggettivazione e distanziamento da sé);
- con un approccio originario di “uomini in movimento” che si raccontano, che rivedono le proprie relazioni e a questo attribuiscono anche un valore politico (cioè produrre una differenza profonda, a partire da sé stessi, rispetto alla cultura del dominio maschile).
In realtà direi che questa verifica è già in corso. Negli ultimi tre anni, abbiamo dedicato gli incontri estivi laboratoriali a esplorare le relazioni maschili e in particolare le nostre, cercando di nominare anche le differenze e i conflitti che attraversiamo. Mi sembra che per questo aspetto abbiamo iniziato un percorso di elaborazione e di reciproca fiducia.
Peraltro, rimane la domanda di fondo che porrei così: “ma rispetto a tutti i fronti che abbiamo aperto e le relazioni e collaborazioni che abbiamo instaurato, vogliamo fondamentalmente tenere le posizioni, o ulteriormente proseguire nella nostra strada di cambiamento?”.
In questo senso mi sembra che siamo a un bivio. Possiamo scegliere di accomodarci in una “normalizzazione” del nostro percorso, che più o meno ci assegni “un posto a tavola” nel contesto dato. Probabilmente ci verrebbe anche riconosciuto e lasciato usare il nostro linguaggio, ma senza modificare le regole del gioco. Oppure abbiamo un’altra scelta. Possiamo seguire il desiderio di cambiare il contesto, cioè anche di avere delle interlocuzioni e collaborazioni ma con questa intenzione trasformativa, dissonante, che tenda a modificare la cultura di quei contesti con cui collaboriamo.
Per questo, penso che la prossima fase ci richieda una rimessa in gioco della nostra elaborazione e delle posizioni acquisite, rispetto al nucleo vitale della trasformazione.
Il nostro viaggio, per quanto mi riguarda, continua.
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