Nov 2007 “E io maschio, al corteo ci vado o no?”
di Alberto Leiss
Roma, 24 novembre, ore 11,30. In un’aula messa a disposizione dall’Università, vicino alla stazione Termini e al luogo dal quale tra poche ore partirà il corteo, ci ritroviamo in un gruppo di uomini che avrebbero partecipato volentieri alla manifestazione delle donne contro la violenza maschile. Alcuni di noi hanno promosso e firmato il testo di un anno fa contro la violenza sulle donne “prendiamo la parola come uomini…”, e hanno anche scritto un nuovo testo in vista di questo 25 novembre 2007. Però è passata la tesi delle donne che hanno scelto una manifestazione “separata”. Per alcuni non è un grande problema riconoscere e rispettare questa scelta, anzi è occasione di ulteriore riflessione sui rapporti tra uomini e tra uomini e donne. Per altri la questione è più difficile. Anche perché le donne non sono tutte d’accordo. Qualcuno è nella singolare posizione di chi è invitato da una amica a partecipare, e diffidato dal farlo da un’altra amica…
Intanto ci sono due uomini che non avevano mai partecipato a riunioni di questo tipo, vengono da Orvieto e da Torino, incuriositi da messaggi e articoli trovati in rete. La “nostra” rete si allarga. Arrivano anche alcune ragazze. Ascoltano, incuriosite e forse un po’ divertite. Una, Stefania, prende la parola. Diffida della “giornata contro la violenza” e non si accontenta di una manifestazione. Dice che un dibattito tra gli uomini le sembra utile: la violenza viene da voi… Sembra saperlo bene, lavora con un gruppo in relazione con le detenute delle carceri romane.Ma che cosa ci diciamo?Ezio e Iacopo – i “nuovi venuti” – credono utile un percorso di riflessione “tra uomini”. La società si cambia se si cambiano i modelli di comportamento, non solo se cambiano i rapporti socio economici…. Evidentemente c’è una critica a una certa tradizionale impostazione politica… Claudio trova logica la posizione di chi, come Stefano, accetta l’idea di non andare in corteo, ma senza rinunciare alla ricerca di una interlocuzione. Dobbiamo riflettere meglio sul che fare – dice – magari a convocare una manifestazione dovevamo pensarci prima noi. Saremo molto pochi? Ma anche su questo dobbiamo interrogarci: a volte i media si occupano di noi, ma di che cosa siamo davvero rappresentativi? La cosa importante sono le relazioni tra noi, un nostro lavoro di “autocoscienza”…
Massimo in parte dissente: il nostro percorso non può essere “speculare” a quello del femminismo. Oltre l’autocoscienza “separata” noi uomini dobbiamo incidere in quell’agire esterno dove emergono negativamente le prassi maschili dominanti. Sì, semmai organizziamo una nostra manifestazione domani, o un altro giorno…Io sono abbastanza d’accordo con Massimo. Non ho mai fatto “autocoscienza” maschile in un gruppo, ho partecipato sempre a contesti – la politica, il giornalismo – abbastanza dominati da un separatismo maschile inconsapevole. E’ in questi contesti che bisognerebbe sapere aprire un conflitto con se stessi e con gli altri uomini. Non si tratta poi di essere pochi o tanti, ma di capire se diamo voce a un senso comune maschile, diverso dal passato, più ampio di quanto si creda. Discuto un po’ anche con Luca, un “giovane comunista” che dice di non voler accettare il separatismo avanzato dalle sue compagne, e di voler “attraversare il corteo”, per segnalare la differenza e la contraddizione. Mi sembra che ponga la cosa in modo un po’ astratto, che prescinde dalla sua relazione con quelle sue compagne…
Anche Andrea gli dice: se non ti invitano tu non devi andare. Andrea è anche un po’ pessimista sull’esistenza di questo nuovo senso comune maschile. Stefano riprende la parola: ho scelto di non andare ma non sono fino in fondo d’accordo con me stesso… Rappresentiamo un percorso ricco che ci accomuna da anni, perché devo continuare a dover dimostrare la nostra autenticità? E’ anche vero che molti amici non sono qui perché impegnati in decine di iniziative di confronto, per lo più invitati da realtà femminili, in tante città.Arrivano altri gruppi di uomini da Viareggio e da Firenze. Anche loro da anni impegnati in una attività e riflessione sulla differenza sessuale.
“Le nostre compagne di Firenze ci hanno detto di venire”. “A Viareggio lo abbiamo dato per scontato… C’è un lavoro comune, stiamo leggendo insieme i testi di Irigaray. Siamo venuti e venute insieme qui in pullman”. Però anche a loro sarà detto più tardi in piazza, più o meno gentilmente, che in corteo non dovevano starci. Qualcuno dice: siamo stati colti impreparati, se vogliamo combinare qualcosa dobbiamo organizzarci meglio… Il 15 dicembre, a quanto pare, ci sarà un incontro nazionale… A un certo punto la riunione finisce. La signora che custodisce l’aula deve chiudere e prendere un treno. O forse, chissà, vuole andare alla manifestazione.
Questo corteo, poi, lo abbiamo visto, seguito, frequentato con discrezione, anche perché – almeno a me è accaduto – abbiamo incontrato le nostre amiche. All’inizio temevo che le adesioni fossero poche, e troppo dominate da una logica troppo “di parte”. Ma poi, dopo la partenza, si è sempre più allargato ed è stato ai miei occhi un bel corteo, tantissime donne, di tutte le generazioni, con tante differenze e una grande ragione sulla questione della violenza. Non mi è parso – con tutto l’affetto e il rispetto per Miriam Mafai che l’ha scritto su “Repubblica” – un “ritorno al passato”. In fondo anche questa discussione tra donne e uomini, e tra uomini, è qualcosa che ai tempi del primo separatismo, del femminismo che ha cambiato le nostre vite, non c’era in questa forma e con questa ricerca maschile di qualcosa che non c’e ancora. C’è da dire che anche in quella nostra discussione del mattino c’erano uomini di generazioni diverse, con quelli che quel passato non l’hanno vissuto, ma che sanno che è avvenuto qualcosa di profondo e irreversibile anche per le loro vite.
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