Pubblichiamo questo racconto, uscito in forma anonima il 19 maggio 2010 sul blog di Femminismo a sud, perché è una storia personale che ci racconta tante cose del maschile, della violenza, della scuola e dei modelli che vengono trasmessi nella nostra società. Ci piacerebbe vedere, soprattutto tra gli insegnanti uomini, sempre di più questo tipo di sensibilità che “diserta” la violenza e la sopraffazione, e sempre di meno quel tipo di campagne oscurantiste che sono la matrice della discriminazione e della violenza. Ancora oggi, nel 2015.
Mi chiamo Nicola e ho 29 anni. Non ho ancora un lavoro stabile e vivo con la mia famiglia.
Ho una ragazza che ho conosciuto sei anni fa. In effetti è la mia prima vera compagna. Non mi vergogno a dire che prima di lei avevo avuto qualche storiella ma ero completamente ingenuo sul modo di intendere le relazioni tra i sessi. Le uniche cose che sapevo le avevo imparate da altri che dicevano di essere più in gamba di me.
Non ero uno sfigato, un nerd. Solo una persona come tante che non aveva voglia di stare assieme al branco. Per questo ho subito alcuni episodi di bullismo e in generale le persone con le quali mi ritrovavo ad essere in competizione, nel bene e nel male, erano ragazzi perfidi. Dato che io non facevo commenti sessisti alle ragazze e non le insultavo allora gli altri maschi mi chiamavano frocio.
Uno degli episodi di bullismo che ho subito riguardava la mia iniziazione alla sessualità. Avevo sedici anni e giacché studiavo ed ero abbastanza timido si riteneva anche che fossi stupido. La bugia più grande che i maschi violenti dicono a se stessi è quella che gli fa credere che se un uomo non gli somiglia è perché non sia capace. La verità è che alcuni uomini scelgono semplicemente di essere un’altra cosa.
C’era una ragazza, aveva sicuramente dei problemi, la portarono in giro e lei era felice perché normalmente nessun ragazzo le dava retta. Mi invitarono a vedere come ci si comporta con le donne e feci l’errore di andare perché mi assillavano tutti i giorni. La ragazza aveva l’età in cui poteva avere rapporti consensuali ma in quello che ho visto non c’era niente di consensuale. Tra ricatti psicologici e sfottò le hanno fatto fare una specie di spogliarello mentre loro si toccavano e poi hanno preteso che lei si facesse toccare.
Eravamo in un casolare in campagna e lei non aveva alternative e non ce l’avevo neppure io che me ne stavo in disparte disgustato. Quando su di lei c’erano le mani di alcuni di loro dissi però che volevo andare via. Mi fecero segno di allontanarmi senza scocciare.
La ragazza tentò di liberarsi e flebilmente disse che anche lei voleva andare via. Loro diventarono una furia. Mi chiamarono ancora frocio e poi mi dissero che quella era una puttana e che gli stavo rovinando la festa.
Aprii la porta di quel tugurio e feci luce nella loro direzione. Guardarsi in faccia non deve essergli piaciuto anche se non mostravano il minimo segno di rammarico, dispiacere, per quello che stavano facendo.
La lasciarono andare perché io gli avevo rovinato il divertimento. Minacciarono di dire l’indomani a scuola che io ero un finocchio. Dissero che lo avrebbero detto a chiunque e in effetti il giorno dopo sul muro della scuola apparve la scritta con il mio nome e la mia presunta identità sessuale.
Non ho mai avuto niente contro i gay e la cosa non mi turbava più di tanto. Però turbò molto il preside che mi chiamò in privato per chiedermi se fosse vero e se poteva fare qualcosa per aiutarmi. Si sentì obbligato a chiamare i miei genitori che quando seppero come era andata la storia si sentirono obbligati a chiamare i genitori della ragazza e la ragazza infine parlò.
Gli stalloni furono denunciati per violenza. Tutti assolti perché lei era andata in quel casolare consensualmente e perché loro avevano comunque smesso quando lei aveva mostrato di voler andare via.
Lei rimase in quella scuola con il marchio della puttana. Loro rimasero in quella scuola con il titolo di stalloni a cinque stelle. Io rimasi in quella scuola con il titolo di frocio. Gli esami di maturità furono una liberazione. L’università l’ho scelta lontanissimo, in una città a centinaia di chilometri di distanza e ho fatto bene.
Vi ho raccontato questa storia perché ricordo il viso ingenuo e spaventato di quella ragazza e in qualche modo mi dispiace ancora per lei. Poi ve l’ho raccontata perché apprezzo molto il fatto che voi state valorizzando i disertori.
Non è semplice per quelli come me vivere in una società dove uomini ma anche alcune donne ti spingono ad essere quello che non sei. Io ho avuto dei genitori intelligenti, una madre e un padre eccezionali, ma gli altri? Come faranno gli altri a staccarsi da quel modello maschile se tutto il mondo, scuola compresa, li spinge ad essere machisti e insensibili nei confronti di chiunque? Sapranno mai gli altri di quello che si perdono? Del rapporto bello che abbiamo io e la mia compagna? Della consapevolezza che di ogni mia azione nei confronti del mondo io sono responsabile? Sapranno mai quanto è meraviglioso sentirsi orgogliosi di non essere parte del branco?
Anche per questo ho scelto di fare l’insegnante. E’ una brutta vita, assai precaria, ma credo che questo brutto lavoro qualcuno deve pur farlo, Gelmini permettendo.
Grazie per aver ascoltato la mia storia
Ti stimo molto..e sono convinto che la vita di darà molte soddisfazioni..
Bruno Giuseppe