Modena 13 Feb 2011
Apr 2011 “Uomini. Cominciano a riflettere su se stessi”
Colloquio con Mario Simoncini di Leontine Regine
pubblicato dalla rivista Mezzocielo
anno XIX – n. 2 – marzo-aprile 2011
Vorrei rivolgere a Mario alcune domande che possono servire ad approfondire alcuni punti di vista, chiedendogli di rispondere come uomo che insieme con altri uomini ha iniziato a interrogarsi e a cercare di non dare per scontati i più comuni paradigmi che formano l’identità del genere a cui appartiene.
Prima di tutto, come nasce, e di cosa si occupa Maschile Plurale? E cosa ti ha spinto ad aderire all’associazione?
Maschile Plurale (la chiameremo d’ora in poi MP) nasce nella primavera del 2007, sostanzialmente come rete cui fanno riferimento uomini di diversa età, condizione lavorativa, estrazione sociale, orientamento sessuale, ma accomunati nella riflessione sul maschile post-patriarcale e nel rapporto con le donne rispettoso della loro libertà, già da tempo operanti sul territorio nazionale, singolarmente o come gruppi (tra questi il gruppo Uomini in Cammino di Pinerolo, il Cerchio degli Uomini di Torino, l’ass.ne Il risveglio di Crema, il gruppo Uomini in Gioco di Bari, altri gruppi e singole persone a Milano, Bologna, Parma, Roma, Verona, Viareggio, Napoli, Cagliari), con lo scopo di portare avanti una riflessione sulle tematiche legate ai generi, alle loro differenze, ai rapporti tra maschile e femminile, di mettere in comune esperienze e percorsi individuali, di condividere pratiche e interrogativi, di attrarre quanti possano essere interessati ad approfondire tali aspetti. Di occuparsi, in definitiva, di temi su cui soltanto le donne, fino a un recente passato, sono intervenute, almeno in Italia.
Una rete, dunque, ma ormai anche un’associazione strutturata con un coordinamento e una presidenza, che si riunisce con una periodicità più o meno trimestrale e che ha dato vita nel suo ambito a gruppi che si occupano di problemi specifici. Sottolineo in particolare la presenza del gruppo Comunicazione, che ha progettato una campagna di promozione sociale contro la violenza maschile sulle donne, indirizzata agli uomini, del gruppo Prostituzione e Tratta, che ha di recente organizzato a Torino un convegno su questi temi, del gruppo Formazione (di cui faccio parte), che si riunisce a volte con la presenza di donne e che elabora tematiche e spunti di riflessione messi a disposizione dell’intera rete, da utilizzare per programmi di sensibilizzazione rivolti a scuole, università, ambiti professionali.
Quanto a me, ho aderito a MP perché sentivo forte l’esigenza di confrontarmi con altri uomini su queste tematiche, maturate in tanti anni grazie a un percorso di riflessione e di presa di coscienza individuale e alla presenza e alla saggezza di alcune donne che hanno attraversato la mia vita.
Puoi raccontarci più in dettaglio le tematiche affrontate?
Spazio significativo è stato dato in questi anni al tema della violenza sulle donne, che in larga parte si esercita tra le pareti domestiche e appare sempre più connessa alla difficoltà, da parte degli uomini, di accettare l’autonomia delle donne stesse. In altre parole appare chiaro che la violenza di oggi non sembra essere tanto (o soltanto) il risultato di uomini che ritengono le donne esseri inferiori da sottomettere, quanto l’esito dell’incapacità degli uomini di accettare e accogliere un’aspirazione alla libertà già entrata nella vita di molte donne: dunque delitti che non maturano soltanto in ambienti sociali emarginati ma anche in situazioni di benessere economico e di livello culturale relativamente alto. Il tema della violenza sulle donne è spesso agito in chiave razzista: grande spazio viene dato su gran parte dei media alle violenze compiute da stranieri, in particolare extracomunitari, che certamente esistono, purtroppo, e fanno problema, ma rappresentano una percentuale minoritaria sul complesso delle violenze perpetrate nel nostro Paese, che nascono e si consumano in maggioranza, come ho detto prima, all’interno delle mura domestiche. E allora questo triste fenomeno viene preso a pretesto per il lancio di campagne sicuritarie, al limite della xenofobia, che amplificano e strumentalizzano la paura dell’altro, del diverso, di colui che viene da noi per toglierci il lavoro e per violentare le “nostre” donne. E ancora, in questo aggettivo, nostre, si afferma con prepotenza uno statuto legato al possesso, che equipara le persone, le donne in questo caso, alle merci.
La violenza sulle donne, ovviamente, può non essere necessariamente di tipo fisico. Mi piace qui citare un passo del libro di Lorella Zanardo, Il corpo delle donne, che denuncia un’altra forma di violenza, quella della chirurgia estetica cui si è sottoposta una sua conoscente, legata alla proposta di un modello artificiale di femminilità, al bisogno di accettazione, al rifiuto di invecchiare, al timore di non corrispondere al desiderio maschile: “Sono a un funerale. La moglie del defunto è affranta. Piange, i figli la sorreggono. La conosco da anni, il marito era un uomo buono e gentile e lei soffre terribilmente. Ma la sua faccia è una gabbia. Dolore, smarrimento, paura della solitudine lottano dentro di lei, e il volto immobile, pietrificato da una chirurgia impietosa, imprigiona tutto quanto. E’ un burqa di carne, una maschera definitiva che incancrenisce i sentimenti all’interno del corpo, impedendone l’espressione.”
Naturalmente quanto detto a proposito della violenza sulle donne si intreccia strettamente al tema della violenza sui gay: c’è una valenza sociale che è legata alla cultura di dominio del maschio, in particolare del maschio eterosessuale, sulle donne, sui bambini nelle forme della perversione pedofila intra moenia o del turismo sessuale, e per l’appunto sugli altri uomini non conformi al modello dominante come gli omosessuali o i transessuali.
Noi, al contrario, rivendichiamo una sessualità consapevole e al contempo gioiosa, rispettosa del desiderio dell’altro, fatta di passione e di leggerezza, aperta alla curiosità e all’esplorazione.
Ulteriore connessione, ricca di sviluppi di riflessione, quella con la pratica della prostituzione, strettamente legata alla proiezione narcisistica del desiderio maschile incapace di accettare le sfide di una relazione complessa, e che si intreccia a una riflessione più ampia sulla mascolinità e sulla sua evoluzione/involuzione negli anni. Sulla mascolinità occorre soffermarci un attimo: a partire dal tramonto della società patriarcale, messa in crisi – ma tutt’altro che definitivamente tramontata – dall’urbanizzazione e dall’avvento della società industriale a cavallo tra il XIX e il XX secolo, che avevano, per così dire, fatto uscire le donne da casa, si creano in molti uomini profonde incertezze e un senso di erosione della propria virilità che provocano, come reazione, un irrigidimento identitario e la riaffermazione di una mascolinità forte, dominatrice e volitiva; questi meccanismi vengono esasperati nel clima di nazionalismo che si registra alla fine della Grande Guerra e che in alcuni paesi sfocia nell’avvento di regimi totalitari: la retorica di tipo patriottico-militarista si accompagna, tuttavia, alle trasformazioni indotte dalla nascita di una vera e propria società di massa, in termini di modernizzazione socio-culturale di cui anche le donne beneficiano apparendo sulla scena pubblica, sia pure in ruoli subalterni; ma è nel secondo dopoguerra che i processi di modernizzazione e l’avanzata delle donne mettono ancora una volta in crisi l’ordine rigidamente patriarcale della società, mentre l’esplosione dei movimenti di contestazione nella seconda metà degli anni ’60 e l’irrompere delle pratiche femministe dagli anni ’70 in poi, fuori dalla logica puramente emancipatoria delle organizzazioni in qualche modo legate ai grandi partiti di massa (come l’UDI in Italia) rendono sempre più problematico il rilancio della mascolinità tradizionale; oggi, pur tra mille ritardi e contraddizioni, appare difficilmente reversibile il cammino verso l’assoluta parità di diritti tra i sessi, ma nello stesso tempo il mito dell’uomo forte, conquistatore, sciupafemmine, pur spogliato degli orpelli retorici del passato, tende a riaffacciarsi all’interno di una dimensione di ripiegamento sul privato (un privato spesso, però, esibito in pubblico), di consumismo di massa, di adesione acritica a modelli vincenti, e al contrario il modello della donna intelligente ed emancipata è a volte banalizzato nella sua caricatura e a volte pesantemente contrastato dal suo contraltare, la donna-bambola, soffice, passiva, arrendevole, disponibile.
Ci appare fondamentale, in definitiva, il collegamento stretto tra i fenomeni storici che ho cercato di sintetizzare con molta approssimazione e, appunto, l’evolversi/involversi dei modelli dominanti di mascolinità.
Quanto al fenomeno della prostituzione, ci pare lecito affermare che esiste un normale immaginario sessuale di dominio maschile e la normale domanda di prostituzione, in quanto accomunati da un’idea di sessualità ridotta a merce, dunque povera, fondata sul consumo, mediata dal denaro, costretta nella griglia del rapporto di potere, avvolta nell’indifferenza e nella negazione di un autentico desiderio. Una variante significativa ci sembra quella delle cosiddette escort: già il termine, di per sé, appare asettico, e in quanto traducibile alla lettera come accompagnatrice, sembra rimandare a una dimensione in qualche modo manageriale, di rapporti di scambio fondati certo sul denaro, ma in un’ottica elitaria, dove il consumo sessuale mercenario ad alto livello non viene più nascosto ma esibito quasi come status-symbol, e la escort può così assumere le caratteristiche di un’auto di lusso o di una barca da 25 metri.
Segnalo poi al riguardo l’impegno di un’associazione piemontese, il Progetto Ragazza di Benin City, che si muove sulle problematiche legate alla tratta, fenomeno che coinvolge tra l’altro moltissime straniere (in questo caso nigeriane): il terreno di lavoro si concretizza quindi nella richiesta di una migliore tutela giuridica, nella gestione di progetti specifici di accompagnamento alla fuoriuscita, nella collaborazione eventuale con le istituzioni, e vede operare addirittura ex clienti delle prostitute stesse, quasi in una dimensione di trasformazione e di presa di coscienza comuni (anche se non ci nascondiamo il rischio che nascano meccanismi attraverso cui clienti ed ex clienti possano essere da un lato colpevolizzati e dall’altro proiettati in una dimensione ambigua di angeli salvatori, di agenti di riscatto morale delle povere prostitute, di buoni samaritani, senza, in definitiva, mettersi in gioco e fare i conti con l’ombra, con la parte oscura di se stessi).
A quali iniziative esterne avete dato vita?
Tra tante mi limito a citarne una, la più recente, cui ho accennato prima: un convegno organizzato a Torino nell’ottobre scorso, dal titolo “Quell’oscuro soggetto del desiderio. Immaginario sessuale maschile e domanda di prostituzione”. Dopo una prima giornata interna, dedicata alle nostre riflessioni, abbiamo successivamente incontrato gruppi di donne operanti in Piemonte: una di loro ci ha pubblicamente elogiati perché, per la prima volta nella sua esperienza, il tema è stato affrontato in un’ottica duplice, quella della tratta e quella, come ribadiva il titolo del convegno, del nostro immaginario; insomma, non le era capitato spesso di avere a che fare con maschietti che si interrogano su se stessi.
MP è stata l’unica voce maschile accolta sul palco di Roma del 13 febbraio, durante la manifestazione Se non ora quando. Puoi riassumere i contenuti del documento letto in quell’occasione?
In realtà non c’è stata un’adesione ufficiale di MP: alcuni di noi hanno espresso perplessità sui contenuti dell’appello che lanciava la manifestazione, laddove hanno creduto di scorgere una sorta di stigma sulle ragazze che, più o meno consapevolmente, si prostituiscono, con particolare riferimento alle vicende del nostro premier. Come se venisse posta una netta dicotomia tra le brave ragazze, quelle che lavorano, quelle che faticano a tirare avanti con dignità e che magari vanno a letto presto la sera, e le altre, quelle che fanno le escort, quelle che vendono il proprio corpo e la propria dignità in cambio di denaro o di un seggio in consiglio regionale. Questa lettura è stata poi smentita da esplicite dichiarazioni delle organizzatrici della manifestazione, e soprattutto, a mio parere, dal grido di libertà, non bacchettone, non moralistico, che si è levato da tante piazze in Italia e perfino fuori dall’Italia. Quindi, come tu hai sottolineato, un nostro compagno (non è scontato che a tutti noi di MP piaccia essere così definiti, ma per me la parola compagno riveste un enorme valore) è stato l’unico uomo a parlare a Roma, anch’io ho portato il saluto di MP a Modena e tantissimi altri nostri compagni hanno partecipato e/o parlato un po’ dappertutto. Abbiamo detto con chiarezza che quanto accaduto rappresenta un’offesa non solo alla dignità delle donne ma anche a quella degli uomini, degli uomini che non si riconoscono in un modello di sessualità fondata sulla mercificazione dei corpi, di virilità disperata e disperante, e che vogliono creare le premesse per una presa di parola maschile più ampia e responsabile e proporsi come parte attiva di cambiamento nelle relazioni di genere.
Tra le donne c’è chi pensa che gli uomini che non condividono il modello berlusconiano delle relazioni fra i sessi, più che a difendere la dignità delle donne, dovrebbero impegnarsi a ripensare una dignità maschile che appare senza punti di riferimento. Tu cosa ne pensi?
Sono pienamente d’accordo, tanto più che non tocca a noi uomini difendere la dignità delle donne, che si difendono benissimo da sole. Credo di avere delineato, sia pur in sintesi, le ragioni del nostro impegno come MP e le modalità con cui cerchiamo di costruire percorsi alternativi. Tu fai giustamente riferimento a un modello berlusconiano, e mi dai lo spunto per chiarire alcune cose a questo riguardo: la prima è che, come rifiutiamo di stigmatizzare moralisticamente le donne che sotto varie forme scelgono di prostituirsi (o vi sono costrette: non è mai del tutto chiaro il confine), allo stesso modo non dobbiamo sentirci in alcun modo più bravi e più belli e più buoni di chi è portatore di modelli in cui non ci riconosciamo (dal palco a Modena ho detto esplicitamente che non mi sento affatto migliore di Berlusconi, ma che cerco a fatica di essere diverso); la seconda è che certi modelli sono presenti nella nostra, come in altre società, ben prima della pur sciagurata comparsa di Berlusconi, e come tali sono vissuti come “normali” modelli che investono le questioni del rapporto tra sessualità e potere e della conseguente asimmetria tra i generi; la terza è che comunque, quando la patologia berlusconiana scomparirà dalla scena, non è che per incanto tutto tornerà a posto, ma ci vorrà un lavoro lungo e faticoso per ricostruire una società davvero libera per uomini e donne, per affermare codici e livelli di comunicazione differenti, per riattivare in meglio ruoli diffusi del maschile e del femminile; e infine voglio citare una frequente obiezione che abbiamo ascoltato nel dibattito politico più recente, e cioè che sarebbero ben altre le ragioni per chiedere le dimissioni del premier, ragioni “serie”, ragioni “politiche”, non gossip o invasioni della sua privacy: ebbene, come non cogliere la miopia, l’analfabetismo di queste posizioni, che non colgono invece la valenza tutta politica della rappresentazione dei ruoli sessuali nei media e nella scena pubblica?
Come si può contattare l’associazione?
Può essere utile approfondire la conoscenza con l’associazione visitando il nostro sito, www.maschileplurale.it, che dà conto in modo articolato delle nostre riflessioni e delle nostre iniziative sia interne che esterne (appuntamenti ormai fissi di maschileplurale sono per es. quelli con il Gaypride o quello del 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne); inoltre si può contattare via e-mail l’associazione stessa scrivendo all’indirizzo [email protected].
Abbiamo tra l’altro in programma di modificare la nostra mailing-list, articolandola in diversi indirizzari: uno più interno per chi interagisce e partecipa più attivamente, uno più largo, per chi è interessato a informazioni sulle iniziative, e altri indirizzari specifici dedicati a giornali, istituzioni, associazioni, siti amici, centri anti-violenza, singole iniziative, ecc.
Vuoi aggiungere qualcos’altro?
Sì, io sono convinto che, al di là dell’impegno di riflessione e di coinvolgimento concreto nelle tematiche che ho cercato di enunciare, l’autentica ricchezza dell’associazione, il suo valore aggiunto, stiano nella riscoperta di un diverso modo di stare insieme tra uomini (tra uomini in cammino, come si sono definiti gli amici di Pinerolo), cercando di non dare spazio a logiche aggressive o a modalità competitive, da spogliatoio. Ci riusciamo? Non sempre. Però ci proviamo, e non è facile, credetemi, abbattere di colpo secoli e secoli di cultura maschilista, tentare di affermare una dimensione maschile sganciata dagli stereotipi che hanno oppresso e opprimono, ciascuno a loro modo, donne e uomini, e di riprenderci quella visibilità – come genere maschile – che i linguaggi dominanti hanno da sempre annegato nel mare di una codificazione asessuata: pace in terra agli uomini di buona volontà, a passo d’uomo, a misura d’uomo, per capirci, e cioè faccio l’esempio di alcune fra tante frasi d’uso comune dove “uomini” indica una categoria universale di esseri umani che comprende entrambi i generi, e dunque, nel momento stesso in cui ci viene conferito il privilegio di rappresentare l’intera razza umana, ci viene negata la nostra specificità di genere e, appunto, la nostra visibilità.
Mario Simoncini è nato a Palermo dove ha vissuto lavorando in banca e occupandosi, tra l’altro, di sindacato nella CGIL e di politica in Democrazia Proletaria con ruoli direttivi a livello regionale. A Modena dalla fine degli anni ’80, è adesso attivo nel mondo della cooperazione e del volontariato e fa parte dell’associazione Maschile Plurale.
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