Mar 2011 “Io, merce sessuale. La tratta di donne dalla Nigeria”
di Alessandro Leogrande
Un recensione dell’ultimo libro di Isoke Aikpitanyi
pubblicata da Il Fatto Quotidiano il 18 Mar 2011
La nigeriana Isoke Aikpitanyi muove dalla sua odissea per raccontare la tratta delle donne straniere, costrette come lei a prostituirsi: solo in Italia quasi 70 mila schiave
In Nigeria li chiamano italos. Sono i trafficanti che in questi anni hanno ridotto in schiavitù decine di migliaia di donne costrette a prostituirsi nel nostro paese. I numeri, nella loro crudezza, sono impressionanti. Ogni anno in Europa almeno 500 mila donne sono vittime di tratta: “importate” come merce dai moderni schiavisti e costrette a prostituirsi per ripagare un debito esorbitante stabilito dai propri aguzzini. In Italia, il numero delle donne vittime di schiavitù oscilla tra le 50 e le 70.000 unità. Il 40% sono minorenni. Oltre il 50% provengono dall’Africa, in particolare dalla Nigeria, ma poiché spesso non hanno il permesso di soggiorno, è difficile stabilire con precisione il loro numero. Per le nigeriane, il debito da estinguere con i trafficanti che hanno organizzato il loro viaggio, spesso con l’inganno, promettendo loro una vita agiata in Italia, oscilla tra i 50 e i 100 mila euro. Una cifra enorme, che si raggiunge – se si raggiunge – solo dopo migliaia di prestazioni sessuali.
La tratta di esseri umani è un mondo sommerso. Le vittime hanno paura di denunciare i propri sfruttatori, perché temono di essere uccise o che le proprie famiglie subiscano violente ritorsioni. I trafficanti e le maman (spesso ex-vittime che gestiscono nuove ragazze da avviare alla prostituzione) hanno tutto l’interesse a mantenere il silenzio. Ma a volte la crepa dell’omertà si rompe.
La storia di Isoke Aikpitanyi è emblematica. Isoke ha avuto il coraggio di ribellarsi alla mafia nigeriana che l’aveva ridotta in schiavitù nel nostro paese, e ha deciso di salvare altre ragazze. Qualche anno fa, ha scritto un libro insieme alla giornalista Laura Maragnani, Le ragazze di Benin City, in cui ha raccontato il proprio percorso di liberazione, e ha fondato un’associazione per le vittime ed ex vittime della tratta. Ora Isoke ha scritto un nuovo libro, frutto di una lunga indagine sul campo tra le ragazze nigeriane ridotte in schiavitù: 500 storie vere.
Con l’aiuto di altre donne della sua associazione, ha incontrato e intervistato 500 ragazze, spesso giovanissime, in tutte le regioni italiane. Il quadro ritratto nel suo libro è agghiacciante. Agghiaccianti sono le violenze subite, il modo in cui i trafficanti riducono le ragazze alla soggezione fisica e psicologica (spesso con riti voodoo), le storie dei tanti aborti clandestini, la raffinatezza dei metodi di controllo. Agghiacciante è la capacità di queste nuove mafie di creare reti trans-nazionali che trafficano corpi. E agghiacciante è – come sottolinea più volte Aikpitanyi – il silenzio omertoso di comunità, associazioni e chiese nigeriane sul fenomeno. La tratta non è frutto di una libera scelta delle donne. Qui ci sono solo schiavisti, con moderni kapò al seguito, e decine di migliaia di schiave da liberare. Ma come? Il nostro codice penale contempla il reato di riduzione in schiavitù, ma questo non basta. Come non bastano i percorsi di reinserimento garantiti dall’art. 18 del Testo unico sull’immigrazione. Serve una più vasta opera di sensibilizzazione. Serve incentivare il mutuo aiuto tra nigeriane ex vittime e vittime della tratta. E soprattutto occorre capire tutti i modi in cui la paura diventa la più potente alleata dei trafficanti.
Quello della riduzione in schiavitù non è un problema solo italiano e nigeriano. È una enorme questione globale, come denuncia la giornalista messicana Lydia Cacho in un altro libro uscito di recente, Schiave del potere. La sua è un’inchiesta giornalistica che attraversa i continenti, dal Sud-est asiatico al Medio oriente, dall’Europa all’America. La moderna industria sessuale, scrive, «ha creato un mercato che molto presto supererà il numero di esseri umani venduti all’epoca della schiavitù africana, dal XVI al XIX secolo». Occorre ricostruire i meccanismi della moderna schiavitù e le dinamiche della tratta su scala mondiale, l’ascesa delle nuove mafie che su questo preciso traffico hanno prosperato. Ma bisogna anche mettere al centro della riflessione la domanda di prostituzione. E, questa, dicono sia Cacho che Aikpitanyi, è una domanda maschile, maschilista, che richiede – anzi, pretende – la riduzione a merce di centinaia di migliaia di donne e bambine.
Isoke Aikpitanyi, 500 storie vere, Ediesse, pagg. 164, • 10,00;
Laura Maragnani, Isoke Aikpitanyi, Le ragazze di Benin City, Melampo, pagg. 214, • 12,00;
Lydia Cacho, Schiave del potere, Fandango, pagg. 340, • 18,00.
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