Ott 2010 “inteventi della Associazioni”
All’Incontro nazionale di Maschile plurale sul
Desiderio maschile nella Prostituzione e nella Tratta
Dopo una giornata di lavori “interni” alla quale hanno partecipato almeno una trentina di uomini, si è concluso Domenica 10 Ottobre con un incontro pubblico, aperto alle associazioni che operano a vario titolo sul tema della prostituzione e della tratta.
Il testo della relazione introduttiva di Alessio Miceli ai lavori dell’incontro pubblico di Domenica 10 Ottobre è qui.
Quelle che seguono sono le sintesi degli interventi dei rappresentanti delle Associazioni [non riviste da quant* sono intrvenut*] .
Esohe Aghatise, presidente Associazione Iroko
Vi ringrazio per lo spostamento che avete fatto nel vostro discorso, dalle donne prostitute, che sono stigmatizzate, alla questione della domanda maschile di prostituzione. E’ importante chiederci come mai, quali sono queste pulsioni che portano alla domanda di prostituzione. Se io fossi un uomo, mi sentirei offeso a sentirmi descritto in un certo modo.
Quando si parlava di queste pulsioni, del fatto che l’uomo abbia sempre voglia di questa cosa, mi è venuto da rispondere che a un bambino, che ha voglia per esempio di rubare, viene insegnato e spiegato che una cosa così non si fa, che non è accettabile. Cioè, nella società, cerchiamo di indirizzare le cose che sono socialmente accettabili o che non lo sono.
Ora, la questione della sessualità maschile, come la gestiamo quando ci sono queste pulsioni? Non sappiamo come gestire questi problemi.
In questo momento purtroppo sembra che ci sia questa espansione, non saprei dire se c’è da sempre o è una cosa nuova, del presentare quasi tutte le relazioni in questo modo: comprare la donna in prostituzione è lecito, si può fare. Poi d’altra parte si dice: “Non quelle donne che sono costrette alla prostituzione”. Per questo motivo noi, come organizzazione, non separiamo le due cose: per noi la prostituzione e la tratta sono due facce della stessa medaglia, bisogna metterle insieme.
Perché quando si parla di una donna costretta a prostituirsi e di una donna che invece sceglie di prostituirsi, andiamo a vedere cosa c’è dietro queste due situazioni. E nella stragrande maggioranza dei casi, oltre il 90%, scopriamo che di scelta non ce n’era, che sono delle scelte di sopravvivenza per sé e per i propri figli.
Poi, la questione di ex clienti che sposano donne che hanno aiutato ad uscire dalla tratta, è stata sempre per noi una questione molto spinosa. Perché dalle donne che assistiamo abbiamo sentito questo tipo di trasformazione: c’era in un primo momento una persona che sfruttava quella donna, poi un uomo che si è offerto di aiutarla ad uscire, per poi scoprire che in realtà in questa uscita non c’era una grande differenza da come si trovava prima.
Quindi per me non è stato strano sentire, nella vostra presentazione, di quando il rapporto dell’ex cliente diventa quello di un padrone, di “un padrone che aiuta” quella donna.
Mi fermo qui e vi ringrazio ancora, questo incontro è molto importante e spero che possiamo lavorare ancora insieme.
Carla Napoli, presidente Associazione Scambiaidee
Volevo ringraziarvi di questa iniziativa che trovo eccellente.
Noi come Associazione lavoriamo su vari filoni, dalla comunicazione alla formazione e al contrasto della violenza alle donne, quindi non abbiamo esperienza di tratta e di prostituzione. Ciò nonostante, una delle nostre mission è che ci vogliamo occupare della rimozione degli stereotipi. E io credo che anche tutta la questione del desiderio sessuale, che sarebbe riposto più nel maschile che nel femminile, sia uno stereotipo. E su questo sarebbe molto interessante che uomini e donne, forse anche in modo separato e poi ricongiungendosi, elaborassero del pensiero.
Perché il discorso del desiderio è cosa molto diversa rispetto all’educazione. Tu puoi educare a dire che una certa cosa non si fa, ma un’altra cosa è la questione del desiderio. Quindi l’obiettivo che propongo è molto più ambizioso, perché andiamo a dei nuclei che non si vogliono affrontare.
Tutto quello che riguarda la sessualità è un grandissimo tabù, non se ne può parlare, oppure parlandone le persone non sono sincere. Per questo si fanno delle ricerche, delle statistiche, ma si ha sempre il dubbio che sia tutto parziale.
Perciò io personalmente e per la mia specificità nell’Associazione, che è di gestire gli sportelli di contrasto alla violenza sulle donne, mi dichiaro disponibile a dei momenti elaborativi.
Rosanna Paradiso, presidente Associazione Tampep
Inizio dal condividere questa informazione: circa quindici anni fa, Tampep collaborava con il Comitato per i diritti civili delle prostitute di Pordenone, quando fu lanciata una grossa campagna internazionale (finanziata dalla Fondazione…-?-…) rivolta ai clienti delle prostitute, che riguardava la tutela della salute della donna. Quella campagna prevedeva un po’ la complicità della donna per strada, quindi è stato costruito un messaggio per far sì che arrivasse ai clienti.
E così vengo ad un argomento che fin qui non è emerso, che è l’uso del condom da parte dei clienti nel rapporto con la prostituta, sia in strada che “in door”. In questi ultimi anni noi stiamo lavorando molto nell’in door, cioè negli appartamenti, nei saloni per massaggi, dove la maggior parte delle ragazze non usa il preservativo.
Per strada invece la contrattualità delle donne è molto fragile, nel senso che una donna non riesce a contrattare:
– quando è lì in quanto vittima di tratta, quindi magari ha un debito da restituire di 60.000 euro;
– oppure per mancanza di informazioni, di consapevolezza del rischio che corre;
– o per le minacce che incombono nel momento in cui rientrerà a casa.
Noi ci ricordiamo di una bellissima ragazza russa, contentissima di prostituirsi perché guadagnava circa 3000 euro a notte, che però diceva: “L’unica cosa è che questi deficienti non vogliono usare il preservativo”. E questo è un elemento comune a tutte le prostitute: dalla russa, alla nigeriana più disperata, all’italiana tossicodipendente, c’è un problema di non uso del preservativo, molto alto come percentuale. Questa mancanza di tutela è andata peggiorando, quindi sarebbe da esplorare meglio. E poi c’è tutto il tema del fidanzamento di queste ragazze, di una certa promiscuità sessuale (per esempio il marito ex cliente, il fidanzato nigeriano che intanto ha altre ragazze nigeriane..).
Quindi il tema della salute è ricorrente, tra morti di Aids e attuale aumento delle malattie a trasmissione sessuale (gonorrea, sifilide).
Quanto ai progetti, abbiamo avuto tanti confronti, anche con gruppi di altri Paesi più emancipati. Per esempio in Olanda, nell’ambito di un progetto di indagine sulla prostituzione maschile minorile, c’erano dei gruppi di maschi. Loro si organizzavano semplicemente facendo delle feste private, quindi da educatori alla pari, a cui invitavano altri maschi. Quindi pagavano una prostituta che veniva a casa e lì, all’interno della festa, facevano questo tipo di comunicazione-contaminazione rispetto ad informazioni sanitarie o sul tema della tratta.
Ora su questo tema siamo su posizioni diverse da altre Associazioni, ma secondo me vanno separate prostituzione e tratta. Perché altrimenti si rischia di confondere anche l’aspetto della denuncia, l’aspetto giuridico. Perché se una donna è vittima di tratta, prima che diventi consapevole della possibilità di denunciare, ci sono condizioni drammatiche. Dall’altro lato, ci sono tante sfumature: non c’è solo la prostituta professionista, contenta di farlo, ci sono anche delle ragazze che sono proprio contente, che hanno piacere.
Oggi è stato toccato anche il tema del piacere. Esiste anche la pulsione femminile del piacere, nella stessa misura maschile di quando un uomo dice: “Mi vado a scaricare e voglio esprimere le mie pulsioni”. Esiste il desiderio femminile, un grande universo di fantasie sessuali femminili. Esiste probabilmente una mancanza di comunicazione da questo punto di vista.
Poi su sessualità e desiderio ci sono troppi vincoli, non solo religiosi ma culturali, nei clichè dei rapporti, forse in questo anche le donne hanno le loro responsabilità nel rapporto di coppia. E poi sono implicati altri sentimenti come la possessività, la gelosia.
Prima si parlava di casi in cui una donna sposa l’ex cliente e diventa come di sua proprietà. Nella nostra esperienza, purtroppo è abbastanza vero. Non dimenticherò mai il caso di un cliente, tra l’altro un bellissimo uomo, imprenditore, che è arrivato da noi con una splendida ragazza nigeriana dicendo: “Finalmente, bastone e carota, l’ho trasformata! Ha dimenticato il suo mondo e persino il cibo nigeriano…”. Si va da questo caso di disastro umano, devo dire, a delle situazioni di umanità, di sentimenti. Abbiamo anche raccolto delle testimonianze di clienti, di sofferenza e di innamoramento.
E poi c’è il tema del denaro e del potere. Chi ha tanti soldi va dalla prostituta di alto bordo, chi ne ha pochi va per strada.
Noi abbiamo spesso trovato tra gli ex clienti, poi diventati fidanzati, mariti, amanti delle prostitute da cui andavano, delle persone molto modeste, con un sacco di problemi, e spesso con rapporti problematici con le loro madri con cui ancora convivevano…
Riguardo alla transessualità, oggi i transessuali sono anche vittime di tratta. Noi ne abbiamo in accoglienza, sono ragazzi partiti con l’idea di essere gay, di venire qui e di vivere liberamente la loro dimensione gay, e invece si ritrovano a essere obbligati a prostituirsi, a essere gonfiati con il silicone industriale contro la loro volontà, a essere picchiati brutalmente, a volte a vivere per strada in delle baracche (per esempio in Umbria). Loro dicono: “Mi prostituisco perché ho bisogno di soldi, e voglio cercarmi un lavoro, perché ho bisogno di fare l’intervento”. Molte volte sono in situazione di pericolo, per cui diventa ancora più impegnativo il percorso di protezione sociale, di inserimento lavorativo, che la nostra società non è pronta ad accogliere in nessun modo. Questi sono i reietti, ancora di più delle prostitute.
Un’altra cosa importante nella vostra presentazione era il rapporto tra padri e figli, ma anche quello tra madri e figli e figlie.
Di recente, sulla prostituzione minorile italiana, abbiamo sempre più casi di ragazzine disposte veramente a tutto, che vanno tranquillamente a scuola e fanno la loro vita, ma per esempio quando vanno in discoteca si propongono al tassista per una prestazione sessuale per non pagare il taxi, pur avendo i soldi, oppure si propongono all’uscita da scuola…
E quindi siamo in ballo tutti, anche come genitori. E non è così semplice dire: “Non fare questo, perché è una cosa brutta”, perché tanto ognuno le cose le fa, brutte o belle…
Quanto alla possibilità di lavorare insieme, abbiamo pensato ad un piccolo progetto pilota di unità di strada, per cercare l’aggancio con questi clienti che non vogliono comunicare. E’ importante avvicinarsi, come è già stato detto, in assenza di pregiudizio, alle tante situazioni diverse…
Quindi incontrarsi e ripensare l’unità di strada in vista di questo tipo di approccio.
E poi, anche ripensando all’esperienza fatta in Olanda, pensare a fare qualcosa in ambiti un po’ diversi: una situazione in cui si può creare una contaminazione in cui un uomo qualsiasi possa avere occasione di andare senza sentirsi giudicato…
Perché non è attraverso il depliant, l’immagine in televisione, che passa davvero l’informazione, la consapevolezza del pericolo che può portare il rapporto non protetto e il messaggio di tutela, con l’uso del preservativo.
Stefania Inacco, Associazione Tampep
I clienti rifuggono sempre di più la comunicazione, il tradizionale volantino non basta più. Quindi bisogna trovare nuove modalità di confronto e di comunicazione. E in particolare capire di più questo loro rifiuto del preservativo. Questo mi sembra il punto più importante.
Perché l’uso del preservativo è tutela per la donna ma anche per l’uomo, che oltre a non ammalarsi lui stesso, non porti delle malattie nella propria famiglia e ad altre persone con cui è in rapporto.
(continua) Rosanna Paradiso, Associazione Tampep
Ovviamente sono livelli diversi. Queste discussioni, come oggi, devono continuare perché sono importanti, perché gli uomini non ci sono mai agli incontri sulla prostituzione, sulla tratta, un po’ in giro nel mondo, a meno che non siano lo psicologo, lo psichiatra…
Poi c’è il livello più urgente, emergente, che è quello delle migliaia di donne per strada e di avere consapevolezza di una situazione drammatica che stanno vivendo, dove la contrattualità è troppo bassa e il rischio di morte è troppo alto (se non sono già morte prima di arrivare, nelle rotte dei loro viaggi in cui vengono anche violentate per attraversare il deserto, ecc).
Marco Bertoluzzo, Associazione Gruppo Abele
Per rispondere alla questione di una possibile collaborazione, io credo che al di là della sessualità il tabù oggi sia quello della violenza. Ho l’impressione che a diversi livelli, in contesti molto diversi, si usi il termine violenza ma non si riesca a declinarlo, a dire da dove parte la violenza, dove sta l’aggressività, perché oggi c’è un livello così alto di aggressività anche nelle relazioni.
Quindi io penso che sia interessante un duplice momento di contatto e di possibile collaborazione. Uno è quello del carcere, nelle sezioni dove ci sono i sex offenders. E’ una situazione particolare, dove ci sono insieme delle persone che hanno commesso dei reati cosiddetti sessuali ma con modalità molto diverse: c’è la persona che ha violentato la propria coniuge, c’è il pedofilo, l’aggressore sessuale seriale, eccetera. Su questo in Italia ci sono una serie di progetti, dove in realtà l’aspetto di incontro con il detenuto è un aspetto che parte dalla patologia.
Io faccio il criminologo, sono un tecnico, ma credo che la questione interessante sia quella dell’incontro su un tema che non sia quello del reato (che viene sempre negato). E quindi l’idea di questi ultimi mesi è quella di partire dall’aggressività, dalla gestione dell’aggressività e della rabbia, e dall’altra la questione della sessualità. Quindi potrebbe essere interessante provare a pensare ad una collaborazione su questi due aspetti.
Si entra in carcere non come degli esperti, degli psicologi o psichiatri, ma si entra lì come uomini. Io credo che questo possa avere un risultato estremamente interessante.
La seconda questione è quella dell’incontro con i giovani. Nelle scuole sono le donne che parlano di sessualità, sarebbe interessante provare ad affiancare anche questo, quindi provare a ragionare ancora sulla questione violenza a partire dalla relazione e da un maschile che non propone solo modelli da bar (dove ci si scambiano grandi avventure, grandi storie) ma dei pezzi di noi.
Quindi studiare degli interventi di educazione tra pari, non nel senso di età ma nel senso di genere maschile.
Ornella Obert, Associazione Gruppo Abele
Sono responsabile di uno sportello giuridico, all’interno del progetto prostituzione e tratta del gruppo Abele. Proprio per il lavoro che faccio, credo che bisogna partire dai diritti.
Se una persona è libera può decidere di prostituirsi e a quali condizioni, ma nel momento in cui delle persone sono irregolari sul nostro territorio va da sé tutto il circuito della tratta. Anche a partire dai diritti bisogna che gli uomini sappiano che accompagnarsi con una minorenne è un reato, cosa che generalmente non viene detta: anche se non si sa che la ragazza è una minorenne, anche nei rapporti consenzienti e nei rapporti a pagamento.
Quindi partire da alcune cose minimali, che sono quelle dei diritti, consente poi di aprire le porte ad altre riflessioni, sull’accesso e sull’utilizzo o meno di una contrattazione a pagamento, che in Italia non è un reato e di questo bisogna tenere conto.
Anche se nei nostri territori, a macchia di leopardo, con le ordinanze si stanno reintroducendo dei divieti e dei reati rispetto alla prostituzione di strada. Ci sono dei clienti che in alcuni territori possono acquistare delle prestazioni a pagamento, in altri no perché altrimenti vengono sanzionati.
Poi c’è tutto il dibattito sulla produzione di una nuova legge che il ministro Carfagna vuole fortemente, di penalizzazione e repressione della prostituzione di strada, e questo ha anche una ricaduta rispetto al nostro lavoro di operatori con le unità di strada. Noi abbiamo delle unità di strada e delle comunità, un servizio dedicato alle vittime di tratta.
Sul piano della collaborazione, vedo due nuclei possibili. Intanto noi possiamo mettere a disposizione i nostri lavori. In questi giorni sta uscendo una pubblicazione sull’in door, una ricerca fatta in alcuni mesi di lavoro sulla prostituzione al chiuso. Abbiamo fatto un lavoro anche sulle attività delle unità di strada, su diversi territori italiani.
Inoltre io sono responsabile di uno sportello di ascolto per persone transessuali. Abbiamo anche delle uscite di unità di strada sulla prostituzione transessuale e volevo precisare che lo stereotipo è quello della persona transessuale che sta in strada per pagarsi l’intervento, ma in realtà è uno stereotipo.
Perché se la persona vuole accedere all’intervento di transizione di genere, deve fare uso di farmaci che impediscono l’attività sessuale, l’erezione. Ma il cliente della persona transessuale in realtà chiede alla transessuale la prestazione attiva. Quindi il percorso di transizione di genere è incompatibile per la transessuale che sta in strada, perché se non può avere l’erezione lavora molto di meno delle altre, sia tra le italiane che tra le brasiliane.
Anche le brasiliane, nel grande mondo dell’America del Sud, generalmente non fanno uso di ormoni come cultura e non chiedono di arrivare alla transizione di genere. Loro usano il silicone, usano la parrucca, è tutto un altro modo. Noi parliamo di transessuali in maniera generica, in realtà c’è un transessualismo brasiliano ed uno europeo, occidentale, c’è un transessualismo tailandese o asiatico e ce n’è ancora uno africano.
Quindi su questo siamo disponibili a uno scambio, per cercare di capire il cliente delle persone transessuali.
Claudio Magnabosco, PRBC (Progetto la Ragazza di Benin City)
Volevo cambiare giacca, da quella dei miei amici di Maschile Plurale con cui ho partecipato ai lavori di ieri, e oggi vi saluto a nome del Progetto Ragazza di Benin City, che lavora sui clienti da dieci anni, che ha messo in piedi una rete di lavoro con e sui clienti.
E’ stato un lavoro grossissimo che non siamo riusciti a gestire, non eravamo preparati, ma che a un certo punto era arrivato ad attivare in ogni regione italiana almeno un gruppo di auto mutuo aiuto di clienti. Vi parlo di due anni fa, poi le difficoltà di gestione ci hanno limitati.
Abbiamo fatto parecchie pubblicazioni. Abbiamo un confronto, un dialogo qualche volta difficile, con le Associazioni antitratta accreditate. Io ricordo che la prima esperienza di clienti noi l’abbiamo portata al Gruppo Abele, a Leopoldo Grosso, abbiamo fatto riunioni su riunioni, anche se non siamo poi riusciti ad andare oltre e noi siamo andati avanti per conto nostro, continuando col Gruppo Abele un dialogo alla lontana.
Poi Leopoldo Grosso venne ad un’altra riunione ad Aosta dove c’era Isoke, la mia compagna, e incontrando un gruppo di clienti ed un gruppo di ragazze disse a Isoke: “Sarebbe molto bello se nascesse un’Associazione di vittime della tratta”. Questa Associazione è nata, è una delle novità. Quando si dice che Pia Covre tanto tempo fa ha dato vita e voce al Comitato per i diritti delle prostitute, mi fa piacere che sappiate che c’è anche un faticosissimo lavoro di una Associazione (difficile, perché è formata anche da clandestine) di vittime della tratta. E che anche loro lavorano nella dimensione dell’auto mutuo aiuto, questa metodologia un po’ particolare, forse speciale.
A tutti, agli amici di Maschile Plurale e alle Associazioni, dico: guardate, se volete approfondire il rapporto con i clienti, dovete usare i clienti. Soltanto i pari riescono a parlare davvero con i clienti, così come sono convinto che soltanto le pari riescano a parlare veramente con altre vittime della tratta. Ma non ne voglio fare una questione ideologica, vi parlo di un’esperienza: noi siamo cresciuti così tanto che siamo scoppiati. Io ho interi scatoloni di mail e appunti su maschi italiani che si sono avvicinati a questa esperienza di clienti, perché non hanno trovato altra possibilità di dialogo.
Mi piacerebbe molto che la perfezionassimo, perché voi avete anche l’esperienza e la professionalità che a noi manca, siamo molto spontanei, molto rustici…
E poi siamo stigmatizzati. Se io sono laureato in sociologia non sono un sociologo, non ho una professionalità, delle competenze… Siccome ho detto di avere avuto delle esperienze come cliente, io sono un cliente, punto e basta.
Questo solo per dire una cosa, che se riusciamo a fare interagire tutte queste esperienze, smuoviamo le montagne.
Romana Vigliani, avvocata a Torino
Ho finito in questi giorni un lavoro, un libro sulla questione prostituzionale, in cui dedico un capitolo al linguaggio. Mi sconvolge il sentire ancora oggi qui, con voi che vi siete concentrati sul tema della prostituzione, chiamare lui “cliente”. Perché lo chiamiamo “cliente”, lui?
Lei la chiamiamo la prostituta, la puttana, la bagascia, la troia, la mignotta… lei è battezzata in tutti i luoghi, in tutte le regioni, con i nomi più strani, più volgari e colpevolisti.
Lui, questo signore, questa persona qualche volta nota e qualche volta ignota, che scende nella strada e con i quattrini compra il corpo di una donna (che è certamente il valore fondamentale della vita, il corpo) noi lo chiamiamo “il cliente”, ancora qui con voi che siete persone che si sono fortemente interrogate su tutte le dimensioni della prostituzione.
Ma il cliente è quello che va a prendere il caffé tutti i giorni nelle stesso bar. E invece a questo uomo che nome gli diamo? A questo signore che va e compra carne umana, consenziente la titolare o meno (poi vedremo se ciascuno è davvero così titolare del proprio corpo)…
Guardate che è molto importante, perché nel linguaggio c’è la verità. Io dico che non possiamo più parlare di prostituzione, se non iniziamo dal linguaggio.
Ines Damilano – Casa delle donne di Torino
Io sono femminista da tanti anni, dal ’73, volevo solo dire che questo tema della prostituzione è molto difficile anche per le donne, molto poco trattato all’interno del femminismo. Infatti anche qui oggi tutte le donne che sono intervenute sono donne che lavorano nel campo specifico, in Associazioni che si interessano di quello.
Nel femminismo è un tema abbastanza poco trattato e credo che questo dipenda dal fatto che è difficile uscire dal disprezzo, riconoscere la libertà individuale e nello stesso tempo portare avanti un discorso culturale di cambiamento.
Siamo tutti d’accordo che esiste la libertà individuale e che non va proprio bene la tratta di chi è costretta, però le cose per cui lottano le donne, per cui è nato il femminismo, sono di cambiare dalla base: sia questo fatto che tutto si compra e tutto si vende, ma soprattutto il fatto che nello specifico dei rapporti tra uomini e donne gli uomini comprano e le donne vendono.
E che cosa hanno le donne da vendere? Gioventù, bellezza e sesso. Gioventù e bellezza non durano tutta la vita e non riguardano tutte le donne.
Riguardo al sesso, le donne cercano di portare avanti una sessualità che rispecchi anche il loro desiderio e non solo che risponda al desiderio degli uomini.
E quindi è difficile fare un discorso ideale che non neghi le contraddizioni reali e che permetta a qualunque donna e a qualunque uomo di sbrogliarsela come può, cercando di cambiare sé stesso e il mondo.
Paolo Lantelme – La casa di Isoke
Basterebbe lavorare in rete, per esempio tra le persone che vedo qui, per raddoppiare le nostre energie. Quello che vedo invece nel lavoro, nel campo della tratta, è che le Associazioni spesso procedono in modo schizofrenico: ciascuna ha la sua competenza specifica, ma un aiuto reciproco potrebbe risolvere molti problemi. Questo è un po’ il collasso della rete di Isoke, delle persone coinvolte nei gruppi di mutuo aiuto.
Quello che mi interessa proporre sono i percorsi del dopo. Cosa succede, dopo, alle ragazze che vogliono uscire dalla tratta? Cosa succede ai clienti che non sono più clienti? Se queste ragazze non riescono ad avere un lavoro e un inserimento e finiscono per avere un rapporto un po’ ambiguo con le strutture, se rimangono gettate a sé stesse, ci sono dei problemi. [Riprende gli interventi precedenti, relativi alla mercificazione, alla doppia morale, al linguaggio con cui si definisce il campo della prostituzione].
Esohe Aghatise, presidente Associazione Iroko
Riprendo quello che mi ha colpito nel vostro documento di Maschile Plurale, nella vostra comunicazione di questo incontro.
Da un lato dite:
“Possiamo illuminare una zona grigia di contiguità tra un “normale” immaginario sessuale di dominio maschile (fortunatamente non l’unico) e la “normale” domanda di prostituzione? Parliamo di una cultura di dominio del maschio eterosessuale bianco occidentale: sulle donne, sui bambini nelle forme come la pedofilia o il turismo sessuale, sugli altri uomini “non conformi” al modello dominante come gli omosessuali, sulle persone transessuali, sulle persone immigrate in Occidente”.
E poi dite:
“D’altra parte, possiamo riconoscere una diversa cultura della sessualità maschile, che coesiste e confligge in noi con la mascolinità dominante? Ci interessa rilanciare altre possibilità del nostro essere maschi”.
Ecco, queste sono le cose che mi hanno colpito, che per me sono novità, le domande che per me gli uomini si stanno facendo per la prima volta sulla propria sessualità, il fatto di chiedersi: che cosa è la nostra normalità? Per me è questa la cosa importante.
E il fatto che siamo qui oggi è proprio perché riconosciamo dei problemi nel campo della prostituzione, della pedofilia e della violenza e vogliamo lavorarci sopra, cercare di cambiare un certo tipo di cultura.
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