Ott 2010 “Quell’oscuro soggetto del desiderio.
Immaginario sessuale maschile e domanda di prostituzione”
Un resoconto dell’incontro
di Alberto Leiss
dal sito www.donnealtri.it
Non è strano che per la donna che si prostituisce esistano molti “nomi” – prostituta, puttana, escort, mignotta, bagascia, troia, lucciola ecc. – per lo più infamanti, mentre per l’uomo che paga per comprare il suo corpo circola finora solo il neutro sostantivo “cliente”?
Pone con una certa veemenza questo interrogativo linguistico l’avvocata torinese Romana Viliani: come chiamiamo il “lui” della situazione? Sono stanca di sentire dire “clienti”. Cliente è chi compra un prodotto da un’azienda o in un supermercato, non “chi acquista carne umana: il corpo è un valore fondamentale della vita”.
Si vorrebbe insomma un nome eticamente più impegnativo. Ma la parola non viene. “Prostituente”, oppure “prostitutore”, azzarda Marco Deriu. Tra i presenti qualcuno dice :“Silvio!”, suscitando ilarità. C’è poco da ridere, però.
Lo scambio si svolge domenica 10 ottobre a Torino, nell’incontro organizzato sul tema prostituzione e tratta dall’associazione maschileplurale, con la partecipazione di associazioni che si occupano attivamente di combattere la schiavizzazione di chi si prostituisce, di tutelarne i diritti e la salute, di agire per sostenere chi da quella condizione vuole uscire.
Il confronto – molto intenso – con le associazioni è stato preceduto da una giornata di riflessione e di scambio tra una trentina di uomini di maschileplurale. Alle spalle anche un lavoro di discussione nei gruppi maschili di diverse città: Torino, Bari, Roma, Verona, Pinerolo, Napoli.
La questione linguistica sollevata individua probabilmente un salto simbolico che sta avvenendo nel senso comune. Il ricorso alla prostituzione non è più considerato “normale”. Il comportamento del “cliente” non è più accettato come una cosa lecita.
Persino nella laicissima e tollerante città di Genova il Comune adotta un’ordinanza per reprimere la prostituzione di strada: le multe previste sono di 150 euro per la donna che “adesca” e di 200 per l’uomo che “compra”. Una iniziativa al limite della legalità (e un’associazione di “lucciole” che si chiama “Le Graziose” – ricordate De Andrè? – ha già annunciato ricorsi giuridici), infatti la prostituzione non è un reato. Ma in quella differenza di 50 euro forse si nasconde, come il diavolo nei dettagli, un giudizio più negativo verso la “domanda” di prostituzione rispetto all’”offerta”.
Tra gli intervenuti a Torino Lele Galbiati ha osservato che comunque il diffondersi di una discussione sui “clienti” ha favorito l’emersione di un fenomeno prima abbastanza “invisibile”. Ma soprattutto gli scambi tra gli uomini di maschileplurale hanno convenuto su un punto: una iniziativa rivolta a aprire uno scandaglio su “quell’oscuro soggetto del desiderio” rappresentato “dall’immaginario maschile nella domanda di prostituzione” deve presupporre la continuità tra l’esperienza sessuale degli uomini, clienti effettivi o potenziali che siano.
Tanto più che, come ha insistito Claudio Magnabosco, da anni impegnato con Isoke Aikpitanyi nell’attività dell’associazione “Le ragazze di Benin City”, nella lotta contro la tratta è decisiva proprio l’azione di clienti che solidarizzano con le giovani sfruttate che hanno conosciuto sulla strada.
Gli spunti di riflessione sono stati molteplici e dovranno essere meglio documentati e ripresi. Anche perché la “due giorni” torinese è stato un inizio. Un lavoro dovrà seguire.
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