Riflessioni in margine all’incontro tra 9 Uomini in Cammino di Pinerolo e 5 del Gruppo Uomini di Verona, avvenuto alla baita del Colletto (Alpe di Usseaux, in provincia di Torino) il 23 e 24 agosto 2014
di Beppe Pavan
Ha posto la questione Vanni: “Se tua moglie ti chiede di essere coerente con quello che proclami…”. Ed è cominciato uno scambio serrato sulla coerenza, sulla nostra personale fragilità che la rende difficile, sull’umiltà necessaria per riconoscerne la difficoltà…
A me è parso – e pare – che Vanni abbia messo l’accento non tanto sulla coerenza quanto sulla “moglie”: come reagisco se/quando mia moglie mi chiede più coerenza?
Intanto mi fa star male, mi mette a disagio il rimprovero di “non essere abbastanza coerente”, espresso, per di più, dalla donna che più mi conosce…
Ma la tentazione istintiva di reagire con stizza e male parole lascia in me, ben presto, il posto all’ascolto. In silenzio lascio che le sue parole mi risuonino dentro a lungo, senza cancellarle o sommergerle con altri pensieri, nel tentativo di renderle inoffensive.
Da quando l’ho ascoltata davvero la prima volta è cominciata la mia rinascita, e da allora so che vale la pena ascoltarla “davvero”. Evitando di ribattere rinfacciandole sue piccole incoerenze: non giustificano certo le mie. E’ l’ascolto il primo passo importante, non il battibecco polemico.
Dall’ascolto nasce il cambiamento, quello che mi fa e mi farà star meglio.
Questo “tema” ha aperto la porta sulla relazione di ascolto nei confronti delle donne del femminismo, che da un po’ di tempo avanzano richieste e manifestano aspettative nei confronti di noi uomini plurali e in cammino.
Per me questo ascolto è diventato pratica costante, che lascia spazio poi non a una risposta superficialmente accondiscendente, ma all’elaborazione di pensiero autenticamente e sinceramente convinto. La risposta potrà essere anche diversa rispetto alle loro attese; l’importante è che sia sincera, vera, corrispondente alla verità del mio pensiero.
Lo scambio continuerà e ci potrà essere corrispondenza successiva alle loro attese; ma anche no; sempre, comunque, con sincerità e verità.
Un esempio è recente: la mia scelta di non partecipare a Paestum 2013. Era un incontro di donne, convocato da donne… Ce n’erano alcune che desideravano la partecipazione anche di uomini, ma la maggioranza no. Mi sembrava corretto aspettare che risolvessero tra loro questo “conflitto”. Andarci imponendo la mia presenza a chi non mi voleva mi sembrava una forzatura. Io sono in relazione di differenza e di scambio con molte donne, non ho bisogno di dimostrare nulla, e neanche loro, portandomi come documento vivente di questa relazione… Ho solo bisogno e desiderio di viverle queste relazioni, nella quotidianità. Non mancano certo le occasioni per parlarne.
L’altro esempio – importante e doloroso – è la discussione infinita attorno all’accusa di violenza psicologica rivolta da una donna a un uomo di Maschile Plurale, al termine della loro relazione.
E’ facile – per lui come lo sarebbe per me e, credo, per qualunque uomo che si sentisse pubblicamente accusato di così grave “incoerenza” – raccogliere rapidamente un lungo elenco di controaccuse e di giustificazioni, dimostrando polemicamente l’inconsistenza dell’accusa. Così facendo, però, non partiamo dall’ascolto, ma reagiamo con rabbia e risentimento: io/noi non siamo accusabili!
Credo che la prima cosa da fare sia, invece, ascoltare, lasciare che quelle parole di rimprovero ci calino dentro e risuonino, senza ostacolarle. E’ la verità della donna, e non è cancellabile opponendole una mia diversa e presunta verità che, questa sì, sarebbe oggettiva… Quella resta la sua verità: non posso che ascoltarla e rispettarla; prendendo atto e consapevolezza che qualche mio comportamento l’ha offesa e ferita. Non volevo… Certo! Ma evidentemente l’ho fatto.
Ascoltarla: anche se il rimprovero è arrivato a distanza di tempo dai fatti contestati. Anche la sofferenza della donna ha i suoi tempi di elaborazione e consapevolizzazione: non per questo è meno degna di ascolto e rispetto.
A me, destinatario del rimprovero, tocca il compito di riconoscerne la fondatezza, indagando i comportamenti che hanno generato non il rimprovero, ma la sofferenza. Ciò che mi disturba e provoca il mio risentimento è l’essere rimproverato; e più la materia è grave, più mi arrabbio e mi ribello. Qui ci vuole l’umiltà necessaria all’ascolto, quello che mette in moto il cambiamento.
Non ho motivo di dubitare che ci possano essere anche altre forme e strade per camminare sui sentieri del cambiamento… Ma la mia esperienza mi fa mettere al primo posto il gruppo di autocoscienza maschile.
E’ lì che ho imparato a nominare sentimenti ed eventi della mia vita prima nascosti sotto il manto della vergogna o della rimozione. Parlarne a voce alta in un gruppo, riconoscerli finalmente e nominarli, è vantaggio mio, soprattutto. Cessa la vergogna di fronte alla consapevolezza della fragilità condivisa con gli altri ed evidenziata dalle evocazioni di comportamenti analoghi che il mio racconto può stimolare in altri del gruppo.
Il coraggio di nominazione è a mio vantaggio, e in questo il Gruppo uomini si rivela ogni volta luogo potente e unico: è una “coscienza collettiva”, che agisce come quella individuale grazie alla fiducia nella consegna reciproca della protezione di quello spazio collettivo di intimità. Quello che riconosco e nomino a voce alta non resterà più nascosto. A me. Gli altri potranno pure dimenticarsene, ma io no; e probabilmente neppure loro di quello che il mio racconto ha evocato in essi… e che forse presto diventerà il loro racconto…
Nel Gruppo Uomini questa pratica è reciproca; ed è decisiva per noi uomini non formati ad indagare la nostra fragilità. Ci vuole coraggio; e “se uno non se lo può dare”, come si giustificava don Abbondio, il GU può aiutare il singolo a trovarlo, dentro di sé, a “darselo”, scoprendo che quel coraggio è strada per la felicità o, almeno, per star meglio, con se stesso e nelle relazioni, cominciando da quelle più intime: con la propria compagna o il proprio compagno di vita.
Credo che, pur rispettando le competenze e le scelte vocazionali di ciascuno, dobbiamo fare di più per stimolare la nascita di altri e altri gruppi di autocoscienza maschile, “perché se gli uomini devono crescere e cambiare, favorirlo non può essere un lavoro, ma un impegno maschile, affinché siano gli uomini consapevoli e cambiati a sostenere quelli che, invece, devono cambiare” (Claudio Magnabosco).