“Disertore”
di Drew Falconeer
dal Blog Femminismo a sud
Dei Disertori, trovate qui anche i “Buoni propositi” per il 2011
“Disertore”
Come femminista, mi sveglio ogni giorno con un dolore dietro il collo. Non sono nato così, non sono nato femminista. Nessuno lo è.
In effetti, veniamo al mondo pronti per essere educati all’opposto. E l’insegnamento comincia dal primo giorno.
Nel corso degli anni, nessun* mi aveva mai parlato di quel dolore. Non ce l’avevo, non era previsto che l’avessi, e comunque nessun* credeva a quelli e soprattutto quelle che dicevano di averlo. Ero stato allenato per non credere alle donne, o per fregarmene dei loro problemi in generale, e mi dicevano che il loro scopo era di soddisfare quelli come me, mostrandomene le prove quotidianamente. Onestamente, sembravano essere dappertutto, spesso supportate da altre donne. Difficile confutare.
In tutti quegli anni, da quando ero bambino e fino a quando gliel’ho permesso, ero stato cresciuto e preparato come un soldato della più grande armata della Terra, e istruito su come avere a che fare con le donne, come concedere loro permessi, come ignorarle, come sfruttarle, come convincerle, come sedurle, come corromperle, come ingannarle, come usarle, come aiutarle a sentirsi inutili, come farle sentire utili solo quando mi rendevano felice, come far credere loro di essere felici quando non lo erano, come far sì che sentissero le mie concessioni come emancipazione, come far sì che non si facessero domande, come far sì che si ponessero tra loro le domande sbagliate, come far sì che mettessero all’angolo e isolassero quelle che sentivano il dolore e il desiderio di parlarne, come far sì che mi facessero venire o si sentissero colpevoli e svalutate per non averlo fatto.
Ma nessun* mi aveva detto che mi stavano indottrinando, perché sarebbe facile provare risentimento verso una simile e placida cospirazione planetaria se potessimo vederla. Cosi’ mi avevano nutrito con tanta disinformazione da farmi credere d’aver capito tutto, abbastanza disifnormazione da farmi essere un involontario agente infiltrato: uno dei maschi “buoni”, che in realta’ promuove il sessismo pericolosamente a ridosso, se non dietro, alle linee nemiche. Come e’ noto, negli eserciti vi sono diversi ruoli, così l’Armata del Patriarcato e’ ricca di fanti (a miliardi), ufficiali, capitani, generali, e basi strategiche sparse letteralmente ovunque. Ma ci sono anche i provocatori, le spie, le talpe, i propagandisti e gli agenti preposti alla conversione. Ero stato istruito per essere uno dei migliori, il soldato d’elite, un oscuro Jedi dello sciovinismo maschilista, non conscio della mia violenza così da poterla infliggere alle donne senza che la mia coscienza mi tradisse, senza dar loro modo di identificarla. Come un dolce, vellutato veleno, ero stato progettato per sabotare le sicurezze (fomentando le insicurezze), minare l’indipendenza, assaltare l’emancipazione, sopprimere i dubbi e preservare la felicità nella schiavitù.
E per lungo tempo feci bene il mio lavoro. Sapete, lo fai cosi’ bene che pensi DAVVERO di essere uno a posto, e non crederesti mai a chi ti dicesse cosa sei davvero, cosa fai veramente. E infatti, non ci credetti. Negavo, mi difendevo, mi dichiaravo antisessista, impartivo lezioni a destra e a manca su come essere un uomo veramente rispettoso delle donne. Mi ci volle del tempo per capire le parole, mettere insieme i pezzi, ripercorrere i passi fondamentali della mia vita e guardarmi attorno, prestare attenzione all’essenza di tutto ciò che è reale, il sottotesto, le azioni quotidiane, le parole, i gesti, le abitudini, e rendermi conto di cosa avevo fatto, come l’avevo accettato, come l’avevo lasciato accadere, come vi avevo contribuito.
Mi ci volle che una donna che amavo profondamente venisse picchiata dal suo migliore amico, “il ragazzo più dolce del mondo”, per accorgermi di quanto bene ci avevano programmato per non sapere, non credere, non guardare, non ascoltare, rifiutare, respingere, non rendersi conto, e non dare alle donne nemmeno un’occasione per controbattere. Mi ci volle di sentirmi dire dal mio amic* femminist* Rho quanto fossero vacui, inconsistenti, compiacenti e uomo-centrati i personaggi femminili di una sceneggiatura che avevo scritto per rendermi conto quanto nel mio profondo avessero incastonato e nascosto la loro propaganda e fatto di me un pubblicista invisibile.
E’ stato allora che ho iniziato a sentirlo, il dolore. Dietro il collo, costante, persistente, che mi ricordava cos’ero, cos’avavo fatto, cosa c’era intorno a me e a cosa avevo partecipato ogni giorno, e come non avevo fatto niente per fermarlo. Un pungente, inevitabile, testardo dolore che mi ripeteva con quale facilità avevo lasciato che le cose arrivassero a quel punto, quanto fosse stata SENZA dolore la mia vita celebrata nel piacere di una comoda ignoranza, nella sicurezza dell’oppressore, nel perpetrarsi di un’incessante, redditizio colonialismo. Come per ricordarmi quella sofferenza che non proverò mai, le umiliazioni che non mi saranno inflitte, e gli abusi che non mi toccheranno, il dolore restò lì, da allora non si è mosso di un centimentro, e ho finito per amarlo ed esserne fiero.
E quel dolore finalmente disattivo’ la mia programmazione, la inghiottì, mi aprì gli occhi sugli effettivi numeri di quel conflitto astutamente tenuto silenzioso, mi mostrò i campi di battaglia cosparsi di vittime non riconosciute, violate e ridicolizzate. Vidi così tanto orrore da vergognarmi di quello che ero.
Non potevo tornare indietro, merda NON VOLEVO TORNARE INDIETRO, così disertai.
Lasciai l’esercito, ci cacai sopra, e iniziai a combatterlo. Dopo 20 anni a fare il lavoro sporco per la più grande forza di oppressione del mondo, mollai, e capii che mi avevano mentito persino su cosa ero: la mia identità si collocava almeno due passi piu’ avanti delle loro semplificazioni, e oggi da genderqueer felice e pansessuale non ho più bisogno del “permesso” degli uomini per essere chi sono e provare ad aiutare gli altri a essere cosa sono davvero, o potrebbero essere.
Mi fanno vomitare i giorni in cui ero uno sfruttatore, sono disgustato per aver “concesso permessi”, sono mortificato per quello che ho fatto, odio chi mi ha insegnato che quello era il mio lavoro, il mio diritto, il mio ruolo. Ora voglio essere io a chiedere un permesso, senza sentirmi in diritto di riceverlo: ero un soldato dell’Armata del Patriarcato. Ero il Patriarcato. E ho disertato. Ora sono un femminista, se le donne me lo permetteranno.
fonte: http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2010/12/16/disertore/
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