Nov 2010 “Di cosa parliamo quando parliamo di prostituzione?
di Stefano Ciccone e Andrea Caruso,
pubblicato su Gli Altri del 5 novembre 2010
in uno speciale dedicato all’incontro nazionale di maschile plurale
“Quell’oscuro soggetto del del desiderio. Desiderio maschile nella domanda di prostituzione e nella tratta”
Di prostituzione si parla come di un elemento di degrado delle nostre città. L’emergenza sicurezza e la mistica del “decoro” alimentano spinte xenofobe e regressive e portano a militarizzare le città. Come la stazione metro di Roma dove il presidio dei militari non ha però protetto Maricica Hahaianu.
La prostituzione viene relegata ai margini bui della nostra quotidianità e proprio così sembra “svolgere la sua funzione”.
Ma anche la prostituzione, come la violenza tra i sessi non è un fenomeno estraneo da cui difenderci, parla innanzitutto di noi uomini, della nostra sessualità, del nostro immaginario sessuale, della nostra “normalità” della “nostra” qualità delle relazioni tra le persone da interrogare.
E non solo per le statistiche che, ipotizzando 9 milioni di “clienti”, parlano di una realtà largamente diffusa tra i circa 25 milioni di maschi adulti del nostro paese. Ma perché rimanda alla rappresentazione del corpo delle donne come oggetto da possedere, alla sessualità femminile come “sessualità di servizio”, priva di una propria soggettività, e del desiderio degli uomini ridotto a obbligo, sfogo, esercizio autistico di potere. Rappresentazioni che non riguardano solo il rapporto di prostituzione.
La rete di gruppi di uomini raccolta attorno a “maschile plurale” ha scelto quest’anno di svolgere il suo incontro nazionale a Torino misurandosi con questa realtà.
Parlare di prostituzione vuol dire parlare di noi. E della rappresentazione sociale della sessualità maschile e femminile, dell’idea di libertà che abbiamo, della possibilità di ricostruire una pratica collettiva di trasformazione di orientamenti culturali profondi e delle forme dominanti di relazione tra le persone.
La scelta è stata di non parlare “delle donne” che si prostituiscono ma di parlare “tra uomini” del loro rapporto reale o immaginario con la prostituzione, focalizzandoci non sul giudizio su chi si prostituisce ma guardando ai clienti e tentando di produrre analisi e riflessione oltre l’alternativa tra giudizio moralistico e indifferenza.
Questo cambio di punto di vista può aiutare a superare una contrapposizione tra riconoscimento dei diritti delle “lavoratrici del sesso” e contrasto alla tratta, che ha spesso impoverito la discussione e la capacità di ascolto reciproca ma anche la capacità di costruire una pratica sociale condivisa.
Riconoscere il rischio di vittimizzazione delle prostitute non corrisponde alla rinuncia a uno sguardo critico sulle forme delle sessualità cui la prostituzione rimanda. Guardare allo sfruttamento e all’oppressione delle donne sottoposte a tratta non vuol dire negarne la soggettività e non riconoscere la richiesta di diritti delle donne che scelgono di prostituirsi. Così le politiche repressive non negano soltanto i diritti delle sex worker ma ostacolano anche l’emancipazione di chi è sottoposta a tratta.
L’impasse che vive questa discussione sulla prostituzione ha molto in comune con l’alternativa tra giudizio moralistico e indifferenza che si ripropone più in generale sulla mercificazione del corpo delle donne nella rappresentazione dei media o nelle forme di ostentazione del potere del berlusconismo. Una schizofrenia che vede il deputato Straquadagno che giustifica la possibilità di prostituirsi per fare carriera in politica come segno di libertà e il sindaco di Castellammare di Stabia imporre che inaugura le multe contro le minigonne. Difesa per la privacy e ambigua riaffermazione del potere di disporre delle donne come “occasione di relax” per i potenti (anzi uso delle donne come misura e conferma del potere) e moralismo repressivo nelle città per chi è posta/o ai margini, stigmatizzato/a.
Ma superare la stigmatizzazione sociale e “ascoltare” la domanda maschile di prostituzione non può significare proporre un’idea della libertà e della laicità come indifferenza reciproca in cui sessualità è relegata a dimensione privata o affidata all’astrattezza e all’anonimato dello scambio economico tra adulti consenzienti.
È possibile riaffermare che la sessualità è un terreno d’indagine, di critica e di conflitto, che è possibile un approccio non moralista ma che ci consenta di superare quella magra consolazione che è la delega al mercato che legittima la compravendita di qualunque cosa, anche le relazioni tra le persone, in cui l’astrattezza e l’anonimato del denaro vengono assunti come condizione di libertà e reciproca autonomia.
La prostituzione di oggi si inserisce dunque in uno scenario che è quello mercificatorio del capitalismo, ma anche quello del patriarcato: un contesto grande e complesso in cui siamo immersi, che si è strutturato nell’arco di secoli, ma che è necessario sottoporre a critica.
In questa cornice vanno riconosciute soggettività e conflitti: vedere il potere anche in altre forme di relazione rivela certo la “normalità” della prostituzione, ma nel senso che chiede di rimettere in discussione tutto lo scenario delle relazioni e della sessualità.
Una sessualità a cui tornare a riconoscere un valore autonomo, non scisso dalla relazione ma neanche bisognosa di essere “nobilitata” dall’amore (quando non dalla finalità procreativa). Resistere alla sua riduzione a merce non nega dunque la possibilità di giocarla come esperienza autonoma, anche finalizzata al gioco, al piacere senza altre dimensioni che ne fondino il senso.
Qui abbiamo dovuto rilevare un nostro ritardo nella riflessione sulla sessualità, nelle (piccole) esperienze di gruppi di uomini e nella nostra relazione politica con le donne. Per questo abbiamo scelto di lavorarci insieme alle donne: ricercare e frequentare quegli spazi (che esistono) in cui uomini e donne scelgono di riflettere insieme sui generi, di parlare, confrontarsi, conoscersi; esperienze di vario tipo, magari laboratoriali, in cui mettere al centro le proprie esperienze, emozioni, il linguaggio del proprio corpo.
Scegliendo di superare l’astrattezza e di ascoltare l’esperienza concreta del rapporto di prostituzione abbiamo scoperto domande complesse e relazioni complesse. Abbiamo ascoltato le unità di strada ma anche i maschi, clienti, ex clienti, finti clienti, scoprendo l’ambiguo legame tra il ruolo dei colpevoli e quello dei salvatori.
Abbiamo visto che la percezione del potere tra prostituta e cliente è molto incerta. È dalla parte di chi paga (ha bisogno di pagare) o di chi ha qualcosa da vendere? Il denaro e il potere nella mediazione con le donne possono apparire il segno di un limite (“non ho mai avuto bisogno di pagare una donna”) ma anche, al contrario misura della propria identità perché denaro e potere sono costitutivamente attributi della propria virilità.
E proprio la mediazione del denaro è alla base di quella che sembra una diffusa dinamica legata all’esperienza del cliente: frustrazione, ricerca compulsiva, sfogo, aspettativa, simulazione insoddisfacente di una intimità, delusione .
Al tempo stesso il denaro è la condizione per un rapporto rassicurante,“sicuro”, di una relazione in cui essere al riparo dal confronto con i propri limiti e le proprie incertezze, in cui considerare la donna come priva di desiderio, e il suo corpo un semplice strumento per il piacere maschile. La possibilità di un piacere corporeo che è al tempo stesso estraneità al proprio corpo. E quanto la ricerca di rapporti con trans non rivela non tanto una rimossa omosessualità latente quanto l’interdizione di una forma di piacere preclusa agli uomini dalla dominante omofobia?
Scopriamo così che la scissione tra donne per bene e prostitute è in realtà dentro di noi tra pulsioni e pratiche da vivere con la donna che amiamo, madre dei nostri figli e la prostituta ricettacolo di una degradazione di cui ci sentiamo portatori.
La possibilità di “consumare” sesso , dunque, (specie in una società in cui le relazioni sessuali sono certamente più accessibili che in passato) sembra essere solo uno degli ingredienti. La mediazione del denaro per sottrarsi a una relazione o per simularla in una finzione? O la prostituzione per rispondere a un “bisogno”? “Uomini brutti o con handicap come fanno?” Un dubbio che ci poniamo solo per gli uomini, non si presume che le donne abbiano bisogni sessuali.
Al centro c’è, di nuovo, il confronto con la libertà femminile e la presunta asimmetria del desiderio tra donne e uomini. Lo scambio di denaro e potere nelle relazioni tra i sessi ha alla base la rimozione del desiderio femminile ma rimanda anche allo spettro di una donna che sceglie di fare soldi sul sesso, sfuggendo al nostro controllo, alla nostra protezione, al legame d’amore che spesso è potere.
Cosa possiamo fare come uomini? guardarci dentro, conoscerci, cercare di smascherare gli stereotipi che determinano i nostri comportamenti, le nostre relazioni. Trovare il coraggio di mettere finalmente al centro delle nostre vite, la questione sessuale; in casa o sul posto di lavoro, per strada, vincendo lo stereotipo dell’uomo che non ha bisogno di guardarsi dentro, che ci impedisce di affermarci pubblicamente come uomini, contrastando quella latente omofobia che ci fa voltare il capo di fronte alla crisi che oggi la maschilità sta vivendo, alla necessità che abbiamo di prenderla, rimetterla sul tavolo, guardarla in faccia, iniziare a riscoprirla e ripensarla.
Questo contributo è stato pubblicato su Gli Altri del 5 novembre 2010 come quello di Marco Deriu “Il desiderio maschile tra patriarcato e mercato”
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