Il logo del 2° Feminist Blog Camp – Livorno 28 – 30 Set 2012
Ott 2012 “Report dal FBC#2 – <Questo uomo no”, ma quali sì?>”
di Lorenzo Gasparrini
gia pubblicato su Femminismo a Sud l’ 8 Ott 2012
Sabato 29 settembre, alle 11, ho cominciato il mio primo workshop per il FBC#2, (Feminist Blog Camp Numero 2) a cui ho dato il titolo “Questo uomo no”, ma quali sì? perché volevo parlare di uomini antisessisti, ma non solo. [Una compagna presente al workshop mi ha voluto scrivere una sua lunga ricostruzione di cosa è avvenuto quel giorno. La sua, che sia chiaro, è una “storia emotiva” di ciò che lei ha vissuto quel giorno, non una precisa cronaca: l’ho trovata comunque preziosa, e tralasciando le parti più personali intercalerò le mie parole con le sue, che scriverò tra parentesi quadre, come queste.]
Comincio raccontando la mia storia. Come tutti gli uomini, nasco sessista, cresciuto in un ambiente e in una cultura sessista. La prima avvisaglia che qualcosa andrebbe ridiscusso da capo ce l’ho all’università, dove i miei studi sul linguaggio s’incrociano con alcune letture (Cavarero) e la freqentazione di movimenti politici dove il problema del sessismo è evidente ma mai messo al centro, esplicitato, posto come reale problema politico.
[Nn ti conoscevo, ho sentito parlare bene di te da alcune compagne a livorno e già avevo provato un pò di fastidio…sai sentire parlare, e bene, di un uomo antisessista mi porta già di per sè a diffidare: in qlc parte di me c’è un pò la convinzione che l’antisessismo sia una cosa “nostra” e che siamo le uniche che veramente possono parlarne cn cognizione di causa, subendone ogni giorno le conseguenze… (dopo averla presa quotidianamente in quel posto almeno si dovrà pure avere il privilegio di poterne essere le uniche esperte?:P)]
Il passaggio dal problema del linguaggio sessista a quello delle prassi antisessiste è lungo e comporta una lenta rielaborazione di gesti quotidiani, abitudini, atteggiamenti, conseguenti a una sempre maggiore consapevolezza della paradossale situazione dell’uomo etero antisessista. Paradossale perché la rinuncia costante e metodica alle posizioni di vantaggio e di sicurezza prodotte da una cultura e una società sessiste a volte non è materialmente possibile, dato che si tratta di strutture sociali sulle quali il singolo non ha potere; e tentare di “pareggiare” gli effetti di queste posizioni di vantaggio non fa che accentuare un senso di disagio – quando non di colpa – che rende sempre più difficile il percorso di liberazione dal patriarcato e dai suoi legami. Anche perché trovare compagni di viaggio non è facile, anzi.
[Quando sei arrivato all’ex-caserma io ero seduta al tavolo all’ingresso e ovviamente tu eri in piedi (stavi entrando). All’avvicinarti ti ho avvertito come una minaccia, nn so bene perché, da una parte forse per il leggero fastidio provato già solo a sentir parlare di te, dall’altra forse la paura di trovarmi vulnerabile (ma anche qst in definitiva perché?) e in più c’è stata anche proprio una “simbologia”, se così posso definirla,del corpo: io seduta, tu in piedi che ti avvicinavi (solo per darmi la mano per presentarti) io in canotta tu in giubino nero…nn so se riesco a rendere.spero di sì… fatto sta che ho fatto un saluto veloce ed ho distolto subito lo sguardo, cosa che cn una qualsiasi compagna nn avrei mai fatto, ma anzi le avrei chiesto mille cose e probabilmente avremmo chiacchierato come amabili comari… ma te sei maschio e quindi così nn è andata, che poi nn è neanche semplicemente perchè sei maschio, perchè nn è che che proprio cn tutti i maschi mi succeda sta cosa (anche se tendo a dare meno confidenza)…e in più te venivi sotto veste di “maschio buono”, o qualcosa del genere…]
Il tutto è reso più complicato, come emerge presto dalla discussione, dall’imprescindibile forma di comunicazione che è il mio corpo. Sono alto un metro e ottantacinque per poco meno di un quintale: grazie a molti rappresentanti del mio genere, il mio corpo è facilmente considerabile un’arma per la violenza di genere. Non è facile, con queste premesse, mettersi a fare l’antisessista. Il minimo che ho ricevuto è stato diffidenza e scherno, incredulità, disprezzo. Da tutti i generi. Ma fin qui nulla di speciale: è l’inevitabile prezzo da pagare a una storia di patriarcato violento alla quale il mio genere appartiene.
[Tra l’altro, durante il workshop ad un certo punto hai menzionato qst storia dei corpi, del fatto che se cammini in una strada dietro una signora in un parcheggio probabilmente la signora già di per sè si sentirà minacciata e affretterà il passo e che il tuo corpo (in quanto corpo maschile) è simbolicamente già di per sè un’arma, ecc….Mi sei sembrato abbastanza consapevole di qst cosa, anche se nn so se ti fossi accorto del mio turbamento iniziale e se comunque in genere te lo aspetteresti da una compagna che si suppone faccia un percorso quotidiano di messa in discussione…di tutto in pratica.]
Il mio blog Questo Uomo No nasce quindi, come tutte le cose, da una lunga preparazione – che però non sapevo che fosse tale – e da una causa occasionale. Il terribile spot televisivo della Renaul Clio “Expect More from Adult Life” è un concentrato di stereotipi sessisti quasi difficili da distinguere per quanti sono, e mi fece esasperare. Il primo post del mio blog è dedicato a lui. Non posso quindi tralasciare che la nascita dei miei due figli maschi sia stata decisiva per l’espressione del mio antisessismo “latente”: che modello maschile incontreranno? Una qualunque delle possibili risposte a questa domanda mi faceva – e mi fa – stare male. Il nome che ho scelto per il blog viene dall’esigenza di resistere alla tentazione – generalista, qualunquista, tipicamente patriarcale – di fare “di tutta l’erba un fascio”: basta con i nomi collettivi, servono solo a disperdere le responsabilità e a generalizzare ciò che andrebbe specificato. E’ questo uomo qui che fa il sessista, è questo comportamento a dover essere discusso da tutto il genere maschile, è questa espressione a far riconoscere una violenza di genere.
[Quindi siam partiti cn diffidenza, poi senso di minaccia…dopo un pò che parli mi viene un senso di immensa gratitudine seguita da un’ondata di rabbia per qst senso di gratitudine (visto quanti cambi in così poco tempo?): gratitudine per il pensiero che un uomo, etero, e comunque dalla parte considerata “giusta”, quella del “primo” sesso, si interessi di qst temi in difesa della libertà e del rispetto delle donne, quasi come un missionario che va a dedicare la vita a sfamare gli affamati e le persone più sfortunate di lui (è una scena davvero pietosa e patetica, magari ti aggiustiamo nel ruolo di crocerossino…va un pò meglio?); poi subito dopo l’ondata di rabbia della mia io super radicale che dava della pietista perbenista ignorante (e vittima) comare di paese a quel pezzo di me che s’era poc’anzi espresso in maniera così sciocca e a gridarle ch’era una stupidina e che in realtà nn stavi facendo un favore a nessuna ma semplicemente cercando di fare uno sforzo di consapevolezza verso un mondo migliore, che fosse migliore per te prima di tutto, perchè il sessismo nn è solo contro le donne, ma è una pesante griglia che schiaccia tutti e tutte cercando di normalizzare e forgiare identità, comportamenti, sessualità e affettività, anche se i più nn se ne accorgono…e magari proprio perchè stanno dalla parte di quelli leggermente più privilegiati.]
Da quel blog è arrivato anche l’incontro con Femminismo a Sud, unico luogo nel quale riesco a coniugare tutte le sfaccettature della mia azione politica – antisessista, antifascista, non separatista. L’entrare in un collettivo con questo nome mi ha fatto anche ripensare alla mia storia personale: sono arrivato all’antisessismo senza passare per il femminismo. E’ giusto, è sbagliato? Immagino non sia solo una questione di parole, ma non ho molti strumenti per capirne di più. Spero di capirci di più in futuro, grazie all’aiuto di chi vorrà dialogare. Il blog, col passare del tempo, ha cambiato forma e argomenti: ho abbandonato le pubblicità – tema “coperto” con più competenza da altri siti e blog in rete – per dedicarmi a esempi di uomini sessisti o “tipi” sessisti (il “sessista di sinistra”, “l’uomo passionale”, ecc.) oppure ancora in caso di esempi eclatanti che, per la loro statura di violenti, fanno categoria da soli (tipo Massimo Fini, per capirci). Ho lasciato la forma scritta a commenti o link per passare al video, in un desiderio di “metterci la faccia” che ho trovato politicamente indispensabile e necessario.
Di qui arrivo al mio problema attuale: dopo aver conosciuto molti altri uomini antisessisti, vedo che non è affatto facile, su questa base, fare un’azione politica comune. Né pratica né virtuale: gli uomini antisessisti non fanno rete, prima che politica assieme. Esempio banale: sui vari siti di uomini antisessisti molto spesso non ci sono link reciproci. Eppure, per quello che mi è dato sapere, più o meno ciascuno sa dell’esistenza dell’altro. Allora? Ho pensato a due possibili cause, per questa situazione: il compiacimento del disertore e il complesso dell’orticello.
Il compiacimento del disertore è quella particolare sensazione di appagamento che deriva dal fascino, che molto giova all’autostima, derivato dal fare un’azione politica individuale che automaticamente ti mette in un “vuoto” nella quale, per forza di cose, sei l’assoluto protagonista, l’eroe solitario. Perseguito dall’esercito patriarcale che hai abbandonato, e deriso da molte femministe che scherniscono te e il tuo percorso, ti sta benissimo fare il gioco dell’eroe incompreso, abbandonato da amici e nemici. Funziona molto anche alle feste, come insegnava in un celebre scambio telefonico Moretti. Detto ciò, rimane il fatto che anche al di là di vanità e autostima gonfiate a dismisura, rimane una effettiva impossibilità di comunicazione e condivisione che non fa bene a nessuno.
Il complesso dell’orticello è quella sindrome che colpisce il “pioniere” di lande desolate, com’è l’antisessista uomo; di fronte a uno spazio vuoto, da riempire, da visitare, da esplorare, invece il nostro eroe si spaventa e rimane lì, nel suo sicuro metro quadro che cura come un’oasi ma non apre a nessuno, nella totale diffidenza verso altri, simili o no a se stesso.
[Nn finisce qui, avevo appena ristabilito l’equilibrio tra le mie varie io evitando una scissione tra mente e spirito quando ti sei messo a parlare della difficoltà che trovi nell’entrare in relazione cn altri uomini antisessisti, della diffidenza quando ti approcci ad altri uomini antisessisti e lì è partita la mia vocina acidella che ti voleva dire “ma Lorè, ma nn sarà che se ti metti in rete cn altri uomini antisessisti o che cmq c provano, poi nn sei più il beato tra le donne e l’unico maschio buono della situazione? E nn sarà che a quel punto ti devi mettere in gioco al 100%? e nn sarà che magari potresti scoprire di nn essere così avanti come pensi? o potresti stancarti a spiegare, per amore di verità costruzione e confronto, ogni volta anche la più piccola virgola della tua posizione, sforzandoti di ben argomentarla e sforzandoti di capire a tua volta il punto dell’altro?E magari in onore ad un percorso di consapevolezza e cambio collettivo dovresti accettare di venire leggermente rallentato nel percorso individuale e nn te la senti di accollarti sta cosa?”
Ad onor del vero devo dire che pochissimo dopo hai citato i “rischi del disertore”: compiacimento (ah, vedi che un pò c’era tutto sommato?) e il complesso dell’orticello .
Ma cmq nn mi spiegavo perché emotivamente fossi partita in quarta…poi ho capito che, seppur con le dovute (per ovvi motivi) differenze, stavo proiettando su di te un mio atteggiamento…]
Diffidenza che, mi viene confermato da altri uomini presenti al workshop, non si supera mai: ci si fida certamente, tra consolidate amicizie antisessiste maschili, ma sempre al 99%. Quell’uno per cento di possibilità di essere tradito o deluso lo si tiene sempre, non si sa mai. Sono queste, in sostanza, anche alcune delle parole di Drew, anche lui antisessista ma non etero come me, bensì queer. Lui racconta, tra le altre cose, che preferisce avere il suo blog – momentaneamente fermo – in inglese, perché all’estero ci sono realtà più “avanti” su queste questioni; in Italia il panorama è così triste e arretrato che probabilmente l’essere isolati è dovuto a un tale rarità (di uomini antisessisti) che per fare “massa critica” è conveniente rivolgersi all’estero – e da lì tentare di rientrare e veicolare messaggi e iniziative.
[Ah, c’è stata un’ultimissima cosa, ma quella nn riguardava tanto te, il contesto per me nuovo dell’antisessismo maschile e le mie pippe, quanto più un’affermazione di Drew (o come si scrive) che nn mi è piaciuta proprio: qnd diceva che lui il blog lo teneva solo in inglese e che ormai si interfacciava soltanto cn l’estero perché erano più vicini al suo livello, mentre in Italia erano troppo “arretrati” (nn ha usato proprio qst termine, ma il senso era qst, terra terra insomma), il che mi è sembrato un discorso un attimo classista]
E’ difficile controbattere all’aorgomento di Drew, che per quanto spiacevole è ampiamente confermato dalla realtà. Tra l’altro sia io che lui veniamo da una esperienza comune in Maschile Plurale che se pure è stata utile e interessante quando si è trattato di fare riunioni separatiste in gruppi di ascolto (tra uomini, tra padri), ci ha lasciato abbastanza delusi in termini organizzativi ed espressivi – infatti siamo entrambi in Femminismo a Sud, dove possiamo esprimerci con una maggiore “disinvoltura”.
Le domande di chi assiste spaziano tra vari argomenti. Ci viene chiesto – a me e a Drew – se e in che modo ci sentiamo “queer”. Mentre per Drew, come detto, non è un problema definirsi tale, io ammetto di non averci manco mai pensato – e mi riprometto di farlo. Ci viene chiesto, nella pratica quotidiana, come ci si “comporta” da antisessisti, per esempio nelle questioni economiche quotidiane nelle quali sono implicate anche le rispettive compagne. Drew racconta che la sua storia molto particolare – padre affidatario del figlio con madre/compagna “sparita” – non gli ha consentito di porsi neanche il problema; per quanto mi riguarda ho una compagna che da sempre guadagna più di me, essendo passato dal precariato della docenza universitaria a un impiego privato a stipendio minimo. Nei fatti ho trovato enormi difficoltà a svincolarmi da apparati burocratici e leggi entrambi di impianto sessista, che per esempio, attraverso i meccanismi legati alla dichiarazione dei redditi, dell’ISEE, del rilascio di un mutuo da parte di una banca, impediscono nella sostanza sia di “unificare” realmente i redditi di entrambi, oppure di decidere quale sia il reddito principale, e sia si dividere equamente i risultati economici realizzati da entrambi.
L’ora del pranzo interrompe una discussione ancora vivace, ancora con molti punti in sospeso.
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