Nov 2011 “L’era del pene pubblico”
di Giorgio Cappozzo
già pubblicato sul suo blog http://pigliapesci.blogspot.com
Gran parte dei maschi sono talmente orribili che meritano che se ne cavi tutto quanto si può!
Marilyn Monroe
Cosa resterà del maschio cresciuto, educato, svezzato ai tempi del berlusconismo? È stato tutto negativo, nella terra dei papi, oppure qualcosa andrebbe salvata? Ora che il capo è caduto, e che stiamo per imboccare il viale della sobrietà forzata, quali tracce restano nella ignominiosa storia maschia? Tutto fango? Nessun fungo?
Con Berlusconi, Sircana, Marrazzo, Mele e compagnia scopando, abbiamo smascherato – come fossimo marziani da poco atterrati – verità antichissime, che solo il nostro calcareo perbenismo ha trattenuto in der petto: ai maschi piace andare con le transessuali, pagare le puttane per farci l’amore, ne pagherebbero tre quattro insieme, o per lenire l’animo ferito parlando, parlando, parlando. Ai maschi piacciono i maschi più anziani e i giovanissimi, al telefono o in auto blu blu blu. Molti maschi hanno una moglie e l’amante. Altri hanno tantissime amanti e una seconda moglie. Alcuni maschi incensano la famiglia e ne vorrebbero sedici. Maschi di destra, fascistissimi, e di sinistra, pieni di filosofia. Maschi prelati e manager. Alti e bassi. Luridi e lindi. Consiglieri comunali e premier.
Dunque, quale novità avrebbe portato, l’esperienza berlusconiana, rispetto ai “decorosi” anni della Prima repubblica? La sessualità maschile – nelle sue varianti: rapace, fragile, violenta e criminale, e appassionata – ha irrotto nel proscenio pubblico, è diventata una questione politica, ha incarnato – come si dice in gergo – i bisogni della gente (il bisogno di godere) e ne ha restituito una rappresentazione. Con Berlusconi non si è denudato solo il re, ma tutta la corte fino alle province, fino alle nostre case, dove almeno una volta a settimana, il priapismo del sire ha fatto da argomento principe. Ne abbiamo approfittato, noi maschietti, per chiederci a che punto siamo? Abbiamo elevato a tema di genere, così come si fa per l’economia e lo sport, la cronaca pornazza di villa San Martino? Il sospetto è che l’occasione non sia stata colta. E che anzi si sia speso molto troppo tempo nell’indignazione, a ricacciar la turpitudine, a esclamare seri «è un’indecenza» e a sghignazzar, con malcelato cameratismo, dell’amore del Cavaliere per il viagra. Spiace dirlo, ma delle lezioni del femminismo tra i maschi – ahimè – nessuna altra notizia. Condividiamo le responsabilità?
Mercenaria è la politica. Di sola merce è composto l’immaginario del potere. Promettere a Nicole mari e monti in cambio di un ambarabaciccicoccò è stata a ben vedere la pratica più “vicendevole” tra quelle cooptatorie che infestano da sempre il Palazzo. Nelle cui viscere si aggirano famelici (di soldini, non di sesso) scherani e bravacci, tarantini e lele more, animo nero di bianco vestito, ad avvelenare le intercettazioni (e le vite altrui) di bassezze e viltà. I piani alti e i sottoscala si tengono insieme nell’inno alla dominazione. Una poltrona, uno stipendio, una gratificazione, una sveltina.
Il maschio post berlusconiano sa di aver fatto i conti con la propria nudità. L’ha vista proiettata, raccontata, eseguita in tutte le lingue e toni. Radiografata e stigmatizzata. Nella misura onnipotente di Berlusconi, o in quella improvvisa, un po’ ridicola e smutandata di Marrazzo, cristiano e di sinistra. A lui, alla sua reazione, dobbiamo forse l’istantanea più fedele del nostro stato di salute. Di certo aggravato dai ricatti polizieschi e da fanghiglia varia, il governatore non riuscì, forse non gli venne manco l’idea, di rivendicare quel suo piacere così antico e frizzante, di consegnare alle telecamere un «embè?» in luogo di tante costernate dichiarazioni. Dimenticandosi, ops, di salutare le sue amanti, che dopo tanto servire e lenire, si sono ritrovate all’inferno (e non è una metafora). Il Cavaliere disarcionato, almeno, all’indomani dell’amplesso, telefonava corteggiava elargiva e riprenotava.
Il maschio post berlusconiano non è poi così distante da quello craxiano, che qualcosa in comune aveva pure con quello sessantottino. È proprio la cultura del Maggio, per mano dei nuovi filosofi francesi, da Focault a Deleuze, che Nietzsche affianca Marx, depurato della “volontà di potenza” ma paladino sinistro della liberazione dionisiaca. E infatti. Palazzo Grazioli è il capolinea miserevole e performativo di questa feconda parabola.
I muri dell’ipocrisia hanno fatto il loro dovere: sono crollati. Il lascito dell’era del biscione è l’assenza di alibi e infingimenti. Quel “maschile” ci ha riguardati e ci riguarda tutti. Tanto da costringerci a costruirne con l’argilla residua un’altra ipotesi. Che più che austera e professorale, vorremmo consapevole, libertaria e libertina.
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